Nella foto, in alto: la dott.ssa Monica Minci
“Agisci come se quel che fai, facesse la differenza. La fa”. Quante volte ho sentito e risentito questa frase nel corso della mia vita. A volte ho cercato di inchiodarla nella mia mente. In alcuni periodi ci sono riuscito. In altri meno. In altri affatto. In questa fase della nostra vita siamo tutti chiamati a fare i conti con il bisogno di speranza. Quella speranza che è legittimo desiderare che brilli di tutte le tonalità di verde possibile. Da sempre l’uomo spera ciò che non percepisce più. Spera ciò che non vive più. Che non possiede più. Che non riesce più a collocare, definire, circoscrivere, pianificare. Da sempre , però, l’uomo spera ciò che ha vissuto. Che ha ottenuto. Che ha respirato, goduto, abbracciato. Che ha testimoniato essere bello.
Nella foto, in alto: la giovane professionista
Bellissimo. Hemingway diceva : “La pioggia si fermerà. La notte finirà. Il dolore svanirà. La speranza non è mai così persa da non poter essere ritrovata”. Ma è proprio così? In questa fase molto delicata molti di noi hanno collocato al passato il bello e vivono di incertezze. Vivono di ansie, di paure. Di piccole, e a tratti non definibili, emozioni simili allo smarrimento. All’ incertezza. All’ inadeguatezza. Molti di noi vivono uno stato di totale assenza di energia. Il lockdown, l’isolamento forzato, per alcuni legittimo per altri meno, ci ha catapultati in uno stato di vero blocco. Quel blocco che non è solo uno stare fermi in casa ma è molto di più. E’ un blocco psicologico che non ci permette di vedere oltre. Non ci permette di fare un passo in più per rigenerare e reinventare quel domani che si percepisce lontano mille miglia da noi. Anch’io come tanti di voi lotto con quella parte oscura di me che si chiama paura. Che si chiama ansia. Insicurezza. A tratti dolore. Da tempo noi di “MONDOMARZIALE SPIA IL MONDO” abbiamo attuato un’informazione utile di carattere etico/ sociale. Noi della redazione, con le nostre penne, vogliamo dare voce a tutti voi. A tutti noi. Perché mai come oggi, come ha detto giustamente Papa Francesco: “siamo tutti sulla stessa barca “. Le emozioni non hanno ceto sociale, non hanno colore politico. Non hanno colore di pelle. Le emozioni hanno solo un unico collante. La nostra anima. E l’anima è una. L’anima è universale. L’anima è quella. Per fare luce al buio che spesso percepiamo nel nostro cuore ho contattato chi per professione opera con le sofferenze. Con i disagi. Con le difficoltà. E’ docente presso la facoltà eCampus, Monica Minci.
Monica è una psicologa lombarda, oltre che psicoterapeuta e istruttrice di mindfulness psicosomatica, ovvero una tecnica che ha lo scopo di superare la divisione tra mente e corpo, mettendo al centro la consapevolezza del proprio SE, psicosomatico. Non conoscevo di persona la dottoressa Minci prima del nostro incontro. Di lei, di Monica, ero a conoscenza dell’ottima nomea di grande professionista.
No. Non la conoscevo di persona. Ma sono stati sufficienti i primi cinque minuti di una video intervista a distanza per essere catapultato nell’anima di chi, dell’ anima, ne ha fatto una missione. Sì. Una missione. Tale è per Monica il suo lavoro. Monica parla con il cuore e non le viene affatto difficile. Per Monica è tutto così naturale, così degno di esserci. Degno è il dolore. Degne le difficoltà. Legittimi e costruttivi sono tutti quei piccoli e grandi disagi che ognuno ci portiamo appresso e che rendono “pieni di sassi” i nostri passi. In Monica trovi un linguaggio chiaro, deciso, fermo. Se dovessi descrivere Monica con poche parole direi senza indugio: Dolce. Dolce. Dolce. Ed è questa dolcezza il suo fiore all’occhiello. L’alfa di molto altro ancora. Monica è rassicurante. E’ pacata. E’ garbata nei modi. E’ tenace, ferma, risoluta. E’ tanto contenuta quando ti ascolta quanto aperta all’altro, quando ti parla. Monica ti fa sentire che ci sei. Che tu vali. Che tu esisti. Che esisti con tutta la tua storia, le tue emozioni, il tuo presente. Con qualche difetto, sì. Con alcune fragilità, anche. Ma ci sei. Questo Monica, lo sa benissimo. Il suo studio in Corso Buenos Aires, 75 a Milano è culla per molti.
Di Monica ci si può fidare. In Monica si può contare davvero. Perché Monica c’è. E non c’è solamente con la sua indiscussa professionalità fatta di continui aggiornamenti e ricerche in campo psicoterapico. No. Lei c’è con la sua di storia. Con la sua esperienza. Con il suo vissuto. Perché lei per prima afferma “anch’io ho paure e sono la prima cavia delle strategie che uso nelle terapie”. L’unica condizione? Bisogna volerlo l’aiuto. Chiederlo. Ci vuole coraggio, questo sì. Ma è pur vero che , aggiunge Monica : “a chi il coraggio lo trova io dico che è già a metà del suo viaggio verso la riconquista della propria serenità”. Vi lascio alla lettura di un’intervista che mi ha regalato molto. Fosse solo il sentirmi “normale” in mezzo a tante emozioni che fino a ieri, almeno per me, tanto normali non erano. Da me e da tutta la nostra redazione, arrivi alla dottoressa Minci tutta la nostra gratitudine.
Quella gratitudine vera, pura, nitida. Semplice. Genuina, un po’ così; alla Monica.
Dottoressa, prima cosa grazie per aver accettato di esporsi per i nostri lettori assetati di tanto bisogno di fare luce. Molte infatti sono le emozioni che sono emerse durante questa quarantena preventiva da contagio covid-19 e, che anche oggi, proviamo. La prima domanda che i nostri lettori ci rivolgono via mail è il significato della parola “ ansia “ . Cosa ci racconta a riguardo? Come possiamo riconoscerla ?
Thomas, prima cosa diamoci del “TU” (mi è piaciuta da subito questa cosa. Mi ha permesso di entrare con più facilità nel suo mondo. Come se Monica avesse percepito da subito, senza tanti giri di parole, il mio personale bisogno di contatto umano, al fine di capire al meglio l’enorme valore delle tematiche che saremmo andati a trattare da qui in avanti, ndr.). Se mi chiedi cosa sia l’ansia mi sembra importante distinguere tra paura e ansia. La paura è un’emozione primaria, una reazione ad un pericolo che è specifico ed immediato. Provo paura quando mi trovo di fronte ad una minaccia che posso identificare. La paura attiva a livello neurofisiologico l’asse dello stress ipotalamo-ipofisi-surrene che prepara il corpo ad una risposta di attacco, o fuga per difendersi dal pericolo. Quindi la paura è normale, sana, e ci permette di proteggerci. Quando invece non so da dove venga il pericolo, percepisco che c’è qualcosa che mi può danneggiare ma non lo vedo, e quindi non lo posso identificare in modo specifico, può crearsi uno stato di disagio persistente e pervasivo che può sfociare nell’ansia. Quando provo ansia la minaccia si colloca nel futuro quindi è come se ora vivessi nell’attesa di un pericolo che è imminente. A livello pratico i sintomi sono diversi. Possiamo distinguere sintomi fisici e psicologici . Tra i sintomi fisici troviamo tachicardia, dolore al torace, respiro difficoltoso o corto, tremori, debolezza, pallore, vertigini, stimolo alla minzione, contrazioni muscolari, disturbi gastro-intestinali, diarrea o stitichezza, nausea, sudorazione, difficoltà a dormire, inappetenza. Tra i sintomi psicologici abbiamo eccessiva preoccupazione, confusione, irrequietezza, incapacità a rilassarsi, difficoltà di concentrazione, calo di efficienza nelle prestazioni.
Quando è corretto rivolgersi ad un terapeuta ?
Quando si presenta il senso della minaccia. Quando il disagio non si riesce più a dominare, controllare. Quando sentiamo di essere schiacciati. Non dimentichiamo che la minaccia può essere oggettiva o soggettiva, legata ad un pericolo che può esistere concretamente nel momento presente oppure no. Tutte le nostre paure possono essere consapevoli o meno, consce o meno. Qui si inserisce infatti il mio lavoro. Nel senso che la maggior parte del mio lavoro non è cancellare quella paura, quell’ansia, ma aiutare le persone a riconoscere quali siano le loro paure, imparare ad identificarne i segnali prima che la paura diventi terrore o prima che si attivino i nostri meccanismi automatici di difesa. Quello che impariamo in seduta è stare con quella paura, è guardarla negli occhi. All’inizio fa davvero paura guardare la paura. Ma i miei pazienti non sono soli a guardarla. E una volta che sei riuscito a guardarla, entri in contatto con la tua forza, quella interiore, che ti può permettere di affrontare cose che sembravano inaffrontabili.
Ci sono dei campanelli d’allarme? Qualcosa che ci avverte che è giunto il tempo per chiedere aiuto ? Un aiuto di cui ricordiamo, nessuno si deve vergognare di cercare.
Provare paura e ansia è normale. Se è moderata, è utile, perché ci mette in allerta e ci permette di reagire velocemente di fronte ad una possibile minaccia. Quindi la prima cosa è riconoscere il nostro diritto di provarla e di esprimerla. E, successivamente, cerchiamo di prenderci degli spazi per tirarla fuori. Può diventare un problema nel momento in cui è eccessiva rispetto alla situazione in cui ci troviamo. Può diventare un problema se prende il sopravvento o dura troppo a lungo e diventa cronica. Ma ci sono molti modi in cui si può stare male in questo periodo. Oltre all’ansia e agli attacchi di panico il disagio si può manifestare anche con problemi di insonnia, con un’alimentazione compulsiva, con un bisogno di controllo che sfocia in ossessioni o compulsioni. Qualcuno potrebbe sentirsi depresso, inutile, impotente e non avere voglia di alzarsi dal letto o lavarsi o sentire amici o parenti. Qualcun altro può sentirsi tanto disorientato e confuso da perdere un po’ il contatto con la realtà. Altri ancora potrebbero usare delle sostanze per “gestire” le emozioni. Questi sono alcuni casi in cui è importante contattare un professionista. Siamo in tanti ad aver scelto di esserci per la popolazione. Come hai detto giustamente tu, non deve esserci vergogna. Bisogna chiedere aiuto.
E’ possibile una cura “ fai da te “ ?
Premetto che le cose da autodidatta hanno dei pro e dei contro. I pro è che ci possiamo sperimentare, non spendiamo soldi, non ci esponiamo, è meno impegnativo a più livelli. I contro è che inevitabilmente non portano agli stessi risultati dell’affidarsi ad un professionista. Io per prima non smetto di lavorare su di me e continuerò a farlo. Certo è che se uno desidera lavorare su di se è giusto che parta da un primo basilare concetto: avere paura è sano. Io credo molto in questo.
Cos’è che blocca una persona a chiedere aiuto ?
Molti pazienti mi dicono “ho paura che se mi guardo dentro, poi chissà cosa esce e ho paura di non essere in grado di gestirlo!”. Vedi Thomas, il “ non sapere “ ci porta a non avere punti di riferimento, non avere idea dei confini delle nostre paure. E senza confini le paure sembrano enormi, infinite, inaffrontabili. Bisogna prendere consapevolezza di questo. La paura ci permette di riconoscere che c’è un pericolo e ci permette di prendere determinate decisioni per proteggerci. Ad esempio è la paura che ci porta a mettere la mascherina, a mantenere la distanza tra le persone per strada. Senza paura ci sarebbe incoscienza. I primi passi che possiamo iniziare a fare, anche da soli sono osservare la nostra paura e le nostre reazioni alla paura. Si può iniziare nel porsi qualche domanda: come reagisco alla paura? Cosa mi accade quando ho paura? Mi viene l’ansia e mi agito e non riesco a stare fermo? Divento irritabile e rispondo male per una piccolezza? E ancora; mi sento triste? Mi chiudo in me stesso ? Mi sento stanco, senza energie, non ho più voglia di fare niente? Ho bisogno di razionalizzare quello che sta accadendo, tenere sotto controllo, ordinare, tenermi occupato altrimenti mi sento impotente? Mi sento disorientato e confuso, senza punti di riferimento? E’ importantissimo questo lavoro e diventa prezioso nel momento in cui si inizia a guardare le nostre emozioni; magari con qualcuno a fianco come un professionista per esempio. Un professionista può aiutare sia a contenerle che a gestirle, senza spaventarsi. Con un professionista a fianco si può imparare a riconoscerne le caratteristiche, le qualità, i limiti. Conoscere le nostre paure ci permette di prenderci degli spazi, delimitati, per vivercele. Proprio come ogni altra emozione. In sintesi è utile osservarci. E’ utile osservare dove ci posizioniamo e questo è già tanta roba. Attenzione, ho detto osservare. Senza commenti, giudizi, spiegazioni o interpretazioni. Osservare e riconoscere la nostra reazione non vuol dire incasellarsi e cercare di fare una cosa diversa.
Che consigli può dare a chi è prossimo nel fare la scelta di rivolgersi ad un terapeuta? Perché alla fine andrà tutto bene, vero?
(sorride) Mi sento, come sempre, di non dare propriamente dei consigli, ma dei suggerimenti per lavorare su di sé. Lavoro non tanto sul cosa fare, ma sul come ascoltarsi per decidere cosa fare. Non sarei autentica nel dire che andrà tutto bene o che non dobbiamo avere paura. Avere paura è sano. Non smetterò mai di ripeterlo. Non avrebbe senso cancellarla. La paura ci serve. E questo periodo ci sta sbattendo in faccia la nostra fragilità. È doloroso. Ma possiamo usare questo periodo per aumentare la nostra consapevolezza su come funzioniamo, su cosa è davvero importante per noi, su cosa ci fa stare bene in modo da costruirci un futuro migliore. Prendiamo, per esempio, il tema del Coronavirus. Non possiamo scegliere di eliminare questo virus, non abbiamo questo potere. Ma possiamo scegliere come vivere le conseguenze del virus. Possiamo scegliere come incanalare quella paura, come trasformarla in coraggio, in amore prendendoci cura di noi stessi e degli altri, in connessione con l’altro. E possiamo donare il nostro tempo, un sorriso, un abbraccio, anche se virtuale. E anche se alcune cose fanno male, se siamo insieme ad affrontarle, è tutta un’altra cosa.
Che rapporto hai Monica con la paura? Con la sofferenza?
Mi fanno paura tante cose. Devo dire che una delle paure più ostiche con cui ho avuto a che fare è quella del giudizio. Questo mi rende anche “un’esperta” nel lavoro sul giudizio con i miei pazienti, perché tutto quello su cui lavoriamo l’ho sperimentato sulla mia pelle. Per come lavoro, uso molto le emozioni in seduta. Che sia gioia o paura, poco cambia. Quindi più che di cosa ho paura sto scoprendo sempre più quanto sia importante il “come ho paura”. Di cosa me ne faccio. Quindi quando in seduta risuona una paura, ci si ferma, la si esplora. La sofferenza è qualcosa di presente, di pregnante nella mia vita, nel mio lavoro. Ma è qualcosa che ritengo molto prezioso. La sofferenza è quella cosa dove siamo vulnerabili, autentici, senza maschere. E contattarla permette di renderla anche meno temibile. Molte persone intorno a me sono terrorizzate da ogni tipo di sofferenza. Quando eviti una cosa, diventa più grande. Starci, permette di viverla e vedere anche oltre.
Nella foto, in alto: la psicologa Monica Minci nel suo studio
Mi affascina quando parli di “stare con l’emozione “. Cosa intendi?
Starci equivale a “non gettarla via come se non ci fosse”. Equivale a darci un senso. A capire il perché di quella determinata emozione. Chi supera una sofferenza può sempre dire che le è servita per crescere. Per evolversi. Ecco, questo significa “stare con l’emozione”. Farsi educare da essa. Per essere più forte. Il mio lavoro è sentire. E’ sentire il mio di essere e quello dell’altro. Il tutto in ottica di guida. Io non insegno nulla. Non do soluzioni. Io guido l’altro a raggiungere consapevolezza di ciò che prova. Ne conseguirà molta libertà , sai? Per entrambi aggiungo. Sia per me che per il paziente. A volte, a prescindere da cosa si fa, è proprio esserci che fa la differenza. Trovo proprio magico esserci andando oltre i fatti o le parole, esserci negli sguardi, nei silenzi, nel creare spazio dove non c’è, nel creare fiducia insieme, dove c’è diffidenza, nello sperimentare possibilità dove c’è rigidità. Questa professione è fatta di intensità, di presenza, di meravigliosi passi verso un volersi più bene. E quanta magia c’è nel vedere una persona che si vuole un po’ più bene!
Tanta magia. Sono pienamente d’accordo. Cos’è per te l’amore Monica?
Più che una definizione ti direi come vivo io l’amore. Amore per me è connessione senza sovrastrutture, senza maschere, senza pensieri. È qualcosa che non si può toccare ma che senti che ti scalda. È quell’emozione che sale e inumidisce gli occhi, è quella sensazione che ti fa venire gli “occhi morbidi” quando ti abbandoni tra le braccia di qualcuno di cui ti fidi. È quel sentire che siamo tutti diversi, ma anche così uguali. E che basta “poco”. Basta esserci. L’amore è quando le persone che seguo sentono apertura e fiducia, sentono che possono essere se stesse, sentono che vanno bene così, anzi vanno alla grande così come sono.
Si sente che ami il tuo lavoro. Che sei protagonista della tua vita. Si sente che la vita ti ha conquistata.
Sì, è vero. Mi conquista ogni giorno. Io gioco alla vita, non con la vita. Mi piace la mia voglia di mettermi in gioco. La mia voglia di crescere, di imparare, di esserci, in primis per me. È proprio bello esserci per sé. Senza quello, non è possibile esserci per gli altri. Vedi Thomas, io sono io. E il senso del mio lavoro si quantifica nella misura in cui un mio paziente , guardandosi allo specchio, possa piacersi. Ognuno è bello a modo suo. Ognuno ha il diritto dire “ WOW “ guardandosi allo specchio. Fermo restando che arrivare a piacersi è frutto di lavoro. Chi decide di iniziare un percorso, deve lavorare. Deve investire energie. Le sue. Io ascolto, incanalo. Ti guido. Ma la fatica è del paziente. La salita spetta a lui. Ma arrivati in cima, WOW lo diciamo in due.
Nella foto, in alto: ancora la bella psico-terapeuta
Cosa diresti ai nostri lettori, ora, adesso? Cosa diresti a chi non si piace. A chi ha perso la speranza?
La speranza è solo nascosta. E’ birichina ma onesta. Torna sempre. E’ solo questione di tempo, di forza di volontà e di energie ben spese. Di questo io sono certa. Cosa direi adesso? Sarò ripetitiva. Direi di non temere a chiedere aiuto ad un professionista qualora il buio si facesse da grigio a nero. Vivere è come andare a scuola. La lezione prima che va imparata è che quando c’è fiducia in sé e nell’altro e si crea una connessione, c’è vita ! Ed è da questa vita che le cose evolvono e trovano il giusto posto. In ogni seduta mi soffermo su questo. Io me lo vivo questo concetto. Questa è la lezione più autentica e sacra del fare in terapia. Che rende questo lavoro un perenne lavoro su di me in modo da poter essere abbastanza neutra da percepire e lavorare con le emozioni della persona che ho davanti. Senza giudizi, senza paragoni, senza commenti. Siamo io e lei o io e lui. E quella connessione, senza maschere, è qualcosa di prezioso, anche per me. Come un monito, un reminder di ciò che davvero conta.
E alla fine Monica, cosa conta davvero?
Esserci Thomas. Esserci sempre. Esserci nonostante tutto. Ed imparare a riconoscerci. Riconoscere la persone che siamo oggi. Riconoscerci alla luce del percorso di vita trascorso. Riconoscerci pronti ad affrontare un domani che, pur non conoscendone i connotati, possiamo vivere con gratitudine. Un pizzico di gratitudine sia nelle gioie che nelle inevitabili difficoltà, risuona molto utile. Perchè vedi, alla fine, la vita, anche se non dovesse andare tutto bene, sarà ugualmente meravigliosa e degna di essere vissuta. Sempre!
Thomas Tolin