Nella foto, in alto: un maestro medievale con i suoi allievi.
Arezzo, 1300. Tra le aule del prestigioso centro di studi della città, lo Studium aretinum, si aggira un maestro che, in ambito pedagogico, ha dato il primo impulso alla stagione dell’Umanesimo: Goro d’Arezzo. Egli fu maestro di grammatica e autore di quattro opere che costituiscono un percorso formativo completo per gli studenti che si dedicavano al latino. In queste sue opere Goro, per l’innovativa azione pedagogica e la modalità di approccio alle fonti classiche, ha anticipato di oltre un secolo la didattica e la ricezione degli autori classici propri dell’età Umanistica, rivelandosi un significativo rappresentante del Preumanesimo aretino. Eppure è curioso come egli sia una figura quasi del tutto ignorata dagli studi storici e letterari. Vediamo più da vicino le sue opere e la loro portata innovativa. Innanzitutto, le Regule ortographie per alphabetum compilate. Il titolo può risultare oggi un po’ complesso, ma il contenuto si contraddistingue proprio per la chiarezza e la semplicità. Si tratta, infatti, di un trattatello che analizza la grafia e la pronuncia di lettere, sillabe e parole in latino.
Nella foto, in alto: un copista medievale al lavoro
L’approccio è basico e lineare. L’intendimento del maestro è quello di introdurre al latino gli alunni alle prime armi accompagnandoli per mano ed escogitando delle soluzioni per facilitarli nella memorizzazione delle regole. I Vocabula sono, invece, un glossario bilingue latino-volgare. Si tratta in assoluto del primo glossario in Italia a presentare una struttura bilingue e a organizzare i lemmi per campi semantici. Il primo di una lunga serie, in quanto questa struttura avrà larghissima fortuna a partire dalla metà del XIV secolo. Il valore dei Vocabula risiede, inoltre, nel fatto che presenta la prima attestazione di interessanti termini del lessico quotidiano e del dialetto aretino del tempo (come «la rucola» o «el rapo», ovvero «la rapa»). La triade di composizioni a carattere grammaticale si chiude con le Regule parve, un breve trattato relativo alla sintassi dei casi. Si tratta di un opuscolo estremamente innovativo dal punto di vista didattico, in quanto la dottrina dei casi prende avvio dall’uso della preposizione italiana. Proprio qui questo metodo, che permane ancora oggi, appare per la prima volta: la base dell’apprendimento del latino non è più il latino stesso, sentito ormai come lingua estranea, ma il volgare. Per queste loro caratteristiche, le regole di Goro presentano quella modernità metodologica che sarà propria delle ben più note Regulae dell’umanista Guarino Guarini. Infine, vi è il commento alla Pharsalia di Lucano, poema tra i più amati e studiati nel Medioevo. Si tratta dell’opera più complessa del maestro, che espone verso per verso il contenuto del poema, si sofferma su ogni espressione, propone innumerevoli osservazioni di carattere letterario e stilistico, ma anche storico e scientifico, presenta citazioni e aneddoti, suggerisce ipotesi interpretative e offre un innumerevole repertorio di citazioni di autori classici e medievali, degno dei più navigati Umanisti di un secolo più avanti. Ma quanto davvero colpisce è l’intendimento di porre tutta la propria conoscenza al servizio degli allievi, dichiarato da Goro fin dall’incipit del testo in modo quanto mai esplicito: «reputando degno che l’esperto di opere classiche ponga la propria conoscenza al servizio delle generazioni future, io, Goro d’Arezzo, ho deciso di commentare Lucano, per trasmettere ai giovani quanto ho appreso ascoltando o leggendo». I componimenti di Goro d’Arezzo hanno avuto una fortuna incredibile e sono stati modello e punto di riferimento di grandi maestri di generazioni successive. Oltre a Guarino Guarini, uno dei principali debitori è l’umanista Domenico Bandini, di cui Goro fu maestro, padre adottivo e poi suocero. Cosi Domenico lo ricorda in uno dei suoi scritti, con affetto e ammirazione: «il mio reverendissimo maestro, maestro Goro, che l’Italia avrà in gloria per l’eternità».
Luana Vizzini