Un personaggio straordinario, Mambo Italiano! Ha già conquistato 3 titoli italiani: UIW cruiserweight title, due volte il PWE national title, ed è stato eletto miglior wrestler del 2015 negli awards PWE . Uno dei pochi a poter dire – se non di avercela fatta – almeno di essere a buon punto rispetto a tanti altri. Ma cominciamo dal principio: dove sei nato e come e quando ti sei avvicinato al wrestling?
Ciao a tutti! Ringrazio in anticipo del tuo interesse nell’intervistarmi. Inizio col dire che sono ancora anni luce lontano dal poter dire di “avercela fatta”, in quanto il mio obiettivo è ancora molto lontano. Preferisco dire di essere a buon punto, seguito da esperti nel settore che mi aiutano a crescere piano piano. Grazie a questo, sicuramente mi trovo più avanti nel cammino rispetto ad altri. Non dico più o meno bravo, solo più avanti nel cammino per diventare un wrestler professionista. Comunque, a livello di visibilità e importanza della federazione dove mi esibisco, sicuramente questo conta molto. Sono nato nel ’91, quindi ho venticinque anni. Purtroppo sono nato ad Osimo. Il purtroppo sta per il fatto che geograficamente è un paesino piccolo e soprattutto molto lontano da qualunque contesto dove potessi realizzare il mio sogno, ma questo non mi ha mai scoraggiato. A differenza di tanti ho cominciato a seguire il wrestling da quando venne trasmesso su Italia 1. Non ricordo di preciso l’anno, so solo che tutta la parte della WWF me la sono persa. Era il periodo d’oro di Rey Mysterio per rendere l’idea.
Quando hai pensato che avresti potuto studiare all’estero?
Ho sempre pensato che se avessi voluto arrivare in alto avrei dovuto emigrare all’estero: l’Italia non offre rampe di lancio verso le migliori federazioni al mondo! Mi avrebbe fatto piacere ricevere insegnamenti da chi, col wrestling, ci si è guadagnato da vivere, ci si è arricchito, si è fatto un nome a livello mondiale. Il mio impasse era sempre la lingua: purtroppo all’epoca della scuola non avrei mai immaginato quanto la lingua inglese avrebbe potuto servirmi e non l’ho mai studiata con molto impegno. Chi se lo sognava, di fare wrestling in America? Quando nel 2015 il mio grande amico Stefano Garzya ( in arte Rocco Casanova) mi disse che sarebbe andato a studiare da Lance Storm in Canada, decisi di partire anch’io con lui: almeno non sarei stato da solo. Lui, l’inglese lo parla davvero, è madrelingua! Avrebbe tradotto lui, per me! Ecco che il sogno diventava possibile.
I tuoi, come hanno vissuto tutta questa passione? Ti hanno agevolato in questa tua decisione od ostacolato?
I miei sono stati sempre favorevoli a lasciarmi fare il ciò che preferivo. Abbiamo solo una vita a disposizione, e penso sia giusto cercare di diventare quello che realmente si voglia essere, prima di essere costretti a rinchiudersi dentro un capannone con un contratto indeterminato. Il posto fisso non era la vita che volevo. Consapevoli di questo, i miei hanno sempre incoraggiato, appoggiato e supportato le mie scelte. Scelte che si sono rivelate presto azzeccate: nel giro di pochi anni ho vinto 3 titoli italiani! UIW cruiserweight title. Due volte il PWE national title, e sono stato eletto miglior wrestler del 2015 negli awards PWE
E il tuo amico Stefano Garzya, poi, che fine ha fatto?
Stefano si è trasferito a Londra da poco più di un anno e si esibisce in federazioni inglesi – non ricordo le sigle, sono sincero!
Come sei arrivato ad allenarti con Booker T?
Sono arrivato ad allenarmi con Booker T per una combinazione fortunata: ho avuto un invito a Houston per motivi che nulla avevano a che vedere col wrestling – come saprete è molto difficile riuscire a restare in America per un periodo lungo per via dei visti necessari all’ufficio immigrazione – così ho colto la palla al balzo sapendo che a pochi km da Houston, precisamente a Texas City, c’è la sua accademia e federazione, così ho approfittato dell’occasione. Sono andato e sono rimasto.
Gli italiani sono sempre stati migranti. Come vedono, laggiù, un italiano che arriva in America non per cercare fortuna o lavoro ma per imparare uno sport?
Gli italiani son stati sempre migranti è vero. Diciamo che in queste accademie abbastanza importanti vengono ragazzi/e da tutto il mondo, quindi questa cosa dello straniero che va per imparare questo sport non è vista come una cosa troppo strana (almeno agli occhi dei miei colleghi/collaboratori sportivi). Con le persone al di fuori dell’accademia, molte erano sorprese dal fatto che venissi da lontano solo per fare sport, ma era sempre una cosa positiva e argomento per farsi nuove amicizie. Soprattutto con le ragazze, che sembravano sempre molto interessate ad un ragazzo italiano.
E sul ring? Come vedono gli italiani? Ce ne sono molti, in America, ma non tantissimi. Ne conosci altri che si allenino con te?
Dove lotto io sono l’unico, e credo che in tutta l’America (ti parlo di lottatori partiti dall’Italia per fare gavetta) dovremmo essere circa tre o quattro, ma personalmente non ne conosco nessuno. Ne ho notizia solo tramite i social network e basta. È uno stereotipo piuttosto consolidato che l’immagine dell’italiano all’estero sia il “simpaticone” romantico che canta, balla, e piace alle donne. Sinceramente, l’idea di portare qualcosa di diverso sul ring è accattivante. Il mio personaggio spicca rispetto ad altri piuttosto comuni. Nessuno si ricorderà mai di loro. Non voglio dire che siamo delle maschere o delle macchiette, ma possiamo avere quel qualcosa in più che, messo nel contesto giusto si mette in luce e si fa ricordare con piacere.
Come te la sei cavata con la lingua? Sei riuscito fin da subito a seguire ciò che diceva il maestro o hai fatto fatica? E’ una fortuna che i termini tecnici siano sempre stati in inglese e mai tradotti?
All’inizio ho avuto difficoltà in quanto conoscevo l’inglese davvero a livello di sopravvivenza se non meno. “The pen is on the table” e poco altro. Col passare del tempo, grazie a Dio l’ho imparata. Me la cavo, anche se non faccio dei grandi discorsi. Adesso in Texas sono da solo ma riesco a seguire bene tutti gli insegnamenti. Magari delle volte capita che debba chiedere di rispiegare tutto, ma capiscono, sono disponibilissimi. Come dicevi, poi, i termini tecnici e i nomi delle mosse si imparano già così come sono, in inglese. Per questo posso dire che la lingua, durante gli allenamenti, non sia mai stata un grande ostacolo. Lo è stata magari al di fuori del ring: mi sono trovato in difficoltà parecchie volte cercando di stabilire relazioni sociali, quello sì.
Com’è, Booker T, come maestro?
Booker T è un ottimo maestro! Vorrei precisare che prima di lui sono stato allievo di Lance Storm, nella sua scuola in Canada. Come maestro, a mio parere è meglio Storm (mi ci trovo meglio), ma la struttura in cui insegna Booker T è praticamente completa: diciamo che sta creando la sua piccola WWE con scuola, sede, arena, federazione, show televisivi! Lui, poi, è molto conosciuto nell’ambiente e quindi puoi sfruttare anche la sua spinta promozionale. Puoi avere una visibilità che in altre scuole nemmeno ti sogni: metterti in luce grazie alla diretta televisiva settimanale del suo programma e farti conoscere dal grande pubblico, i media parlano di te… È davvero una cosa pazzesca e stupenda da vivere.
Cosa vi fa fare? Che differenze ci sono tra le lezioni italiane e quelle americane?
In Italia ti insegnano le mosse. Quello che ho imparato oltre oceano è che il wrestling è quello che c’è tra una mossa e l’altra. Non dobbiamo dimenticare che non si tratta di un semplice sport, ma di uno sport-intrattenimento, e la parte recitata è quella più difficile da imparare. È quello che fa la differenza in ogni atleta, ed è quella la parte più ostica: fare la commedia con naturalezza. Tutto deve avere un a sua logica, un filo conduttore, una story line… Il pubblico deve affezionarsi al personaggio, deve entusiasmarsi alla sua gimmik. Qui da noi vedo molte persone allenarsi ed esibirsi solo per soddisfare il proprio ego facendo quella tale mossa perché gli piace. Indossando un abbigliamento senza senso, che non c’entra nulla col personaggio però piace a lui, perché così… Questo non è wrestling! Per me, questo è sbagliato! Il pubblico vuole vedere uno spettacolo con una sua logica, non solo atleti e ginnastica.
E’ diverso da come lo si vede sul ring o sempre coerente col suo personaggio?
Booker T è coerente con la persona che vedi ora da commentatore. Sul ring aveva un personaggio diverso, ma da commentatore rispecchia quello che è in realtà: una persona molto allegra sempre con la battuta pronta. È davvero piacevole stare in sua compagnia.
Ma torniamo a te: pensi di rimanere a combattere negli States o di tornare in Italia?
In Italia, attualmente non vedo nessuna possibiltà di arrivare in qualche grande federazione. Il mio desiderio, quindi, sarebbe quello di restare qui negli States, ma c’è sempre il grande scoglio dei visti da superare. Anche ad essere in regola con leggi e burocrazia, poi c’è tutta la difficoltà nel farsi notare da qualche grande federazione importante. Io vado avanti un passo alla volta. Spero di diventare abbastanza bravo, ma anche di essere abbastanza fortunato da incontrare la persona giusta al momento giusto.
Come vedi il wrestling italiano, dopo tutto questo tempo negli States?
Secondo me, negli ultimi anni molte cose sono cambiate. Gli show sono diventati più frequenti e c’è stata una crescita generale in quanto a preparazione atletica. Alcune federazioni lavorano davvero bene e non hanno nulla da invidiare agli americani. Ma oltre a questo, non si è ancora andati avanti. In America, anche se militi nella più piccola e scalcagnata federazione hai la possibilità di essere notato, di poter sfondare. Sei pagato per ogni match. Qui? Puoi essere bravissimo sotto tutti gli aspetti, ma rimani sempre il re del tuo “pollaio” e magari nemmeno ti pagano quando combatti. Lì è la patria del wrestling, qui è ancora uno sport di nicchia, sottovalutato e malvisto.
Ovviamente, tutto questo spostarsi comporta il non avere una vita molto regolare quanto a lavoro (nel senso di posto fisso), casa, famiglia e amici. Come vivi tutto questo? E’ uno stimolo, una bella avventura o un fastidio e un disagio?
È un po’ tutte e quattro le cose messe insieme! A volte è uno stimolo e un avventura. Altre volte, più che fastidioso o disagevole, è difficile. Voglio dire, è questo quello che voglio: stare qui e fare wrestling, ma è brutto stare lontani da casa e famiglia. Se hai una difficoltà, devi cavartela da solo. Non c’è nessuno che ti aiuta. All’inizio, ricordo che anche le piccole commissioni quotidiane, presentarti da qualche parte, era una bella avventura. Non sapevi mai come sarebbe andata a finire. Era ed è tuttora un grande stimolo rapportarmi con persone di altre etnie, gente di culture diverse estranea al nostro modo di pensare. Mi sono innamorato di questa vita e, attualmente, non la cambierei con nessun altra.
Cosa consigli di fare a chi vorrebbe, come te, studiare all’estero?
Consiglierei di scegliere bene la scuola che intende frequentare e di organizzarsi in anticipo per la sistemazione e un eventuale lavoro. Il wrestling non è uno sport qualunque: bisogna dedicarvisi al cento per cento se è quello che davvero vuoi. Impegnarsi anche solo all’ottanta per cento non porterà a nessun risultato. Tempo perso!
Come hai elaborato la tua gimmick? L’hai scelta tu o è stata decisa a tavolino?
È nata per gioco durante dei match di prova durante il mio periodo di allenamento in Canada presso l’accademia di Lance Storm. Nella fase iniziale del match, un mio compagno, da fuori ring iniziò a cantarmi ” hey mambo, mambo italiano…” Io iniziai a ballare immedesimandomi nella cosa per tutto il resto del match, divertendomi e facendo divertire tutti gli altri. Lo stesso Storm mi disse di provare ad usare questo personaggio davanti al pubblico e vederne la reazione: se fosse andato bene avrebbe potuto essere la mia nuova gimmick,e così è stato.
Se non fossi Mambo Italiano, chi vorresti essere?
A dire il vero non lo so. Non ci ho mai pensato. Forse perché per ora mi va benissimo essere Mambo Italiano
Quali sono le cose che ti danno più soddisfazione, in un match?
La reazione del pubblico: è impagabile, soprattutto quando ti applaudono e urlano il tuo nome, magari senza aver fatto una mossa in tutto il match. È qui la differenza tra un intrattenitore e uno che sale sul quadrato a fare una sequenza di mosse!
Ma anche le cinture sono una bella soddisfazione! Il tuo ricordo più bello e quello più brutto legato a questo sport?
Mah? Per fortuna, finora ho solo ricordi belli. Forse perché possiedo un carattere aperto e socievole, ma tutti quelli con cui ho avuto a che fare (atleti, arbitri e staff) sono stati sempre felici di aver lavorato con me. Non ho problemi e non ne creo agli altri, nemmeno alle persone che non conosco. Cerco di essere affabile, divertente, lego con facilità e ho sempre cercato di dare il massimo dentro e fuori dal ring. Non ho mai fatto del male a nessuno. Per ora, quindi, solo riscontri e ricordi belli.
Qui in Italia si vive una realtà di piccolissime federazioni che si fanno la guerra tra loro. Secondo te, cosa servirebbe per collaborare tutti perché il wrestling cresca come sport a livello nazionale?
Secondo me, in Italia, non si riuscirà mai a collaborare. Già non è facile mettere più teste insieme, se poi aggiungiamo che gli italiani sono famosi proprio perché ognuno vuole lavorare e condurre le cose a modo suo, comprendiamo il perché. Non ha senso impedire ai lottatori di combattere anche in altre federazioni, e tantomeno gettar fango su tutto e tutti. Si potrebbero risolvere molti problemi se lo si facesse. Si riuscirebbe a crescere una volta per tutte, e questo sarebbe un bene per l’intero movimento italiano.
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Erika Corvo