Camilla è una ragazza seria, intelligente e volitiva. L’abbiamo conosciuta durante le riprese del suo lavoro d’esordio: “Terre Desolate”. Doveva essere un cortometraggio per la sua tesi di laurea ma alla fine, senza sapere esattamente né come né perché, è venuto fuori un lungometraggio pregno di valori e impegno sociale. La nostra inviata Erila Corvo ha avuto la foruna di cimentarsi in questo flim per una particina e, conosciuta Camilla, non si è lasciata sfuggire l’occasione di una intervista!
Ciao, Camilla! Raccontaci qualcosa di te: dove e quando sei nata, e dei cosa ti occupi attualmente.
Ciao Erika! mi presento subito. Sono nata a Milano il 27 agosto 1994 da padre italiano e madre irlandese. Dopo aver passato l’infanzia nella mia home town, mi sono poi trasferita all’età di sette anni in California con la mia famiglia, per poi tornare in Italia e vivere l’adolescenza a Monza. Attualmente vivo a Milano, città in cui ho terminato gli studi universitari laureandomi a luglio in video design all’Istituto Europeo di Design. Ora lavoro e mi occupo di video e grafiche, ma di questo parleremo dopo.
Da dove nasce la tua passione per il cinema?
Dal liceo. In terza superiore, dopo due anni di fatiche immense al liceo scientifico per il quale non nutrivo nessun interesse, ho cambiato scuola e mi sono iscritta al Liceo della Comunicazione, che mi ha offerto la possibilità di cominciare ad esplorare il mondo cinema, del teatro e dell’arte.
La tua famiglia, come ha vissuto la tua scelta? Avrebbero preferito per te un indirizzo di studi più tradizionale?
Beh, considerando che i miei genitori incarnano perfettamente il modello tradizionale in quanto sono entrambi docenti all’università, direi che l’hanno presa molto bene. Da quando mi ricordo, sapevano di aver a che fare con una personalità artistica e difficile da gestire su diversi fronti. (ride) Comunque sono molto fortunata ad avere loro come genitori. Non mi hanno mai imposto nulla e hanno sempre rispettato e incoraggiato nelle mie scelte, purché fossero fatte con la testa.
Quali scuole hai frequentato per concretizzare la tua passione?
Come dicevo prima, il mio trampolino di lancio verso questo campo è stato il mio liceo che mi ha dato una infarinatura teorica delle regole fondamentali del cinema e mi ha introdotto al suo vasto e magico mondo. Successivamente mi sono iscritta allo IED (Istituto Europeo di Design) per incrementare queste conoscenze teoriche e sperimentare con la pratica.
Cosa immaginavi che fosse, una scuola di cinema? Era come avevi immaginato o era tutta un’altra cosa?
Beh, quella che ho frequentato io non è proprio una scuola di cinema. E’ una scuola di design con offre anche un corso di video, il che è ben diverso. Sicuramente le grandi scuole di cinema, stile USA, sono molto più attrezzate e non lasciano spazio per tempi lenti di apprendimento di software o macchine.
Cosa vi fanno fare, a scuola? Quali materie si studiano e quali sono le materie pratiche?
Si studia dalla storia del cinema alla storia dell’arte, ovviamente, passando per antropologia culturale, sociologia della comunicazione e molte altre materie. Si termina poi con corsi pratici per l’apprendimento dei programmi e al vero e proprio lavoro sul campo: tecniche di ripresa in laboratorio video e corsi di regia, montaggio e color correction.
In che modo vi fanno acquisire conoscenza con il materiale tecnico per girare?
Usandolo! Per quanto riguarda le camere ce ne sono alcune più intuitive di altre, ma bene o male direi che si possano imparare a gestire anche in autonomia. In fondo basta prenderci un po’ la mano, individuare le funzioni base, dove e come usarle. Il resto, viene da sé. Per quanto riguarda le luci invece, avevamo spesso lezioni di fotografia nelle quali ci facevano montare un set diverso. In questo modo si sperimentava anche il lavoro e lo spirito di gruppo, facendoci lavorare come una vera troupe.
Tutti i bambini sognano di fare gli attori. Come mai, tu hai preferito stare dall’altro alto della telecamera?
Penso che raccontare una storia abbia un potere mastodontico e se questa storia fosse composta da immagini sarebbe ancora più affascinante: le stesse immagini e la colonna sonora sono parte della storia stessa. Penso che apparire sia molto bello, ma alquanto vincolante. No, non ho mai sognato di fare l’attrice. Quando ero più piccola volevo fare la cantante!
E se non ti occupassi di regia, che altro vorresti fare? Non è certo un mondo in cui manchino le opportunità di mettersi in luce, qualora si abbiano delle idee o del talento!
Mi piace molto anche il montaggio che, dopo l’idea, è il cuore del film. Cambia il montaggio, cambia la storia.
Terminata la scuola, cosa ti si apre, davanti? Si fa tirocinio con qualche regista già affermato? Si inizia già per conto proprio?
Finita la scuola comincia il vero dilemma. Fortunatamente a me è stato offerto uno stage da Sky Italia come video maker producer. Si tratta di una figura che si occupa prevalentemente delle creatività per vari promo che vanno in onda sui diversi canali. Nonostante abbia iniziato da poco, spero di trarre il massimo da questa nuova esperienza e di appendere il più possibile in tutti i vari ambiti esplorati.
A parte gli obiettivi concreti, hai anche dei sogni in merito, più o meno irrealizzabili?
Diciamo che Hollywood non rientra nelle mie aspirazioni maggiori, non credo molto nel cinema d’intrattenimento. Preferirei avere l’opportunità di portare in giro per il mondo qualche mio lavoro, magari una video installazione e poter vedere la reazione del pubblico, lì, in quel momento. (nota: una video installazione può essere qualsiasi cosa, non ha una forma definita. Implica solo dei contenuti audio e video inseriti in un contesto diverso da quello del cinema)
Quali film sono stati i tuoi cult?
Sicuramente “Vertigo” di Mr. Alfred Hitchcock, il mio idolo. E’ stato proprio grazie ai film del maestro del brivido che mi sono avvicinata al mondo del cinema. Sono rimasta affascinata soprattutto dalla sua dimensione psicologica: Hitchcock ha rivoluzionato il concetto stesso di coinvolgimento emotivo del pubblico. La sua suspance, infatti, è basata su un concetto molto semplice: mettere lo spettatore in condizioni di sapere anche solo un attimo prima del personaggio quello che sta per succedere nel film. Questo fa scattare una serie di meccanismi di allerta nella mente di chi assiste allo spettacolo. Ad esempio, chi è che non avrebbe voluto avvisare Marion Crane che dietro di lei si stesse avvicinando l’assassino, nella famosa scena della doccia di Psycho, film cult del 1960?
Ami più il cinema drammatico o quello comico?
Amo il cinema che mi coinvolge emozionalmente e psicologicamente. Quindi è più facile ricadere sul drammatico, anche se il mio genere preferito è il thriller psicologico.
Verso quale o quali generi di film ti senti più portata?
Questa è una domanda al quale devo ancora trovare le mie risposte… Non ho ancora avuto modo di cimentarmi in tutti i generi, e lo scoprirò solo lavorando e facendo il maggior numero di esperienze.
Di quanti e quali elementi si compone una troupe?
Mi sento di dover fare una premessa prima di rispondere a questa domanda. Se si hanno soldi e una produzione adeguata alle spalle, la troupe cinematografica si compone da tanti elementi, ognuno competente nel suo settore e parte fondamentale di una catena e macchina di produzione che lavora velocemente ed efficacemente. Se mancano i fondi invece, come è successo nel caso del mio film di tesi, si è costretti a dover svolgere molte più mansioni contemporaneamente ed è lì che nascono strane figure professionali tutto fare come il regista “d.o.p” (casting director, operatore e produttore). Oppure il fonico-sound designer-macchinista-produttore. Ci sono un sacco di mansioni che si possono combinare tra loro, ed ogni combinazione è buona.
Raccontaci un po’ in cosa consiste il tuo lavoro. Ti danno un copione, e poi?
Cerchi di visualizzare la storia nella tua testa, prima in modo approssimativo, poi cerchi di entrare nei dettagli. E’ molto importante avere chiaro in testa da subito, cosa si vuole raccontare. Il concetto, il messaggio. Cosa stiamo dicendo? Poi viene la forma, e con essa tutte le praticità annesse. Che attori prendo? Le location? come sarà il mio personaggio? Che camera uso? e così via. Si entra nella fase di pre produzione.
Hai girato un “cortometraggio” che poi durava due ore. Come si fa? Riesci a elencarci tutto il da farsi dall’inizio? (esempio: trovare gli attori, trovare dove girare, mettere insieme la troupe, il materiale di scena, il materiale tecnico, prima si gira una cosa e poi un’altra…)
Si, Le Terre Desolate era nato come un corto, si è sviluppato come un medio e si è concretizzato in un lungomentraggio. Le fasi di lavorazione e gli sforzi impiegati sono stati parecchi. Non avevamo budget e nemmeno una troupe numerosa, anzi, abbiamo girato l’intero film in cinque. Fortunatamente, essendo anche la nostra tesi di laurea, l’Istituto IED ci ha fornito il materiale tecnico, camera, luci, obiettivi e tutto il necessario. Dopo aver scritto il soggetto e lo script abbiamo iniziato a cercare location, attori, oggetti di scena e costumi. In questo film una ricerca accurata delle location era fondamentale, avevamo bisogno di passare da una città super moderna in cui non esisteva alcun tipo di vegetazione, ad un bosco rigoglioso passando per dei luoghi in cui il progredire della presenza naturale doveva essere evidente. Comunque, una volta trovato tutto il necessario, abbiamo steso un piano di produzione e abbiamo iniziato a far provare gli attori. Abbiamo girato prima le scene a Milano con le figurazioni speciali e qualche comparsa, poi ci siamo spostati in Abruzzo per girare gli ultimi due atti, le terre desolate e il bosco, rispettivamente sul Gran Sasso e nel bosco di Sant’Antonio. Poi siamo tornati a Milano e abbiamo iniziato la post produzione. Penso che tutti noi possiamo concordare sul fatto che sia stato un lavoro tanto faticoso quanto gratificante e per questo siamo molto contenti.
Cosa si prova nel vedere il tuo lavoro sullo schermo e la sala piena di gente?
E’ una grande soddisfazione, immensamente gratificante. Vedere la gente reagire, emozionarsi, commentare o tacere davanti alla tua creazione è una sensazione indescrivibile. Sai che sei tu ad averli emozionati, ad averli fatti piangere o ridere.
Secondo te un film deve contenere un messaggio sociale, politico, di vita, o dev’essere solo intrattenimento?
Assolutamente sì! Almeno, quello che faccio io deve contenere un messaggio. Il cinema come solo intrattenimento per me non è cinema, almeno non nel senso artistico del termine e sinceramente lo trovo noioso. Poi ci sono anche una serie di video e cortometraggi che sono puramente estetici. Non per forza contengono chissà quale messaggio sociale o politico, anzi, molti di questi si concentrano sulla forma e ne fanno il loro punto di forza, andando a comunicare semplicemente delle suggestioni. Alcuni di questi sono molto belli.
Effetti speciali: fino a che punto sono utili, in un contesto narrativo?
Sai, dipende sempre da ciò che stiamo raccontando. Spesso “less is more” (meno si esagera, meglio è) è la chiave giusta. Una realizzazione semplice risulta molto più efficace rispetto ad un bombardamento di effetti, fronzoli e arricchimenti. Questi, non solo non aggiungono nulla alla narrazione, ma diventano sgradevoli e la appesantiscono. Certo che se stiamo girando Spider Man o un qualsiasi altro action movie, il discorso cambia.
E quando non ti occupi di cinema, quali sono i tuoi hobby e le tue passioni?
Amo la musica: senza di lei non potrei mai vivere. Il mio svago settimanale consiste nel trascorrere, quando posso, qualche serata in compagnia di amici e buona musica. Spesso si tratta di serate nell’underground milanese, per cui ho un debole. E’ un ambiente a cui mi sento molto legata e nel quale sono sempre riuscita a mescolare divertimento e lavoro. Di recente infatti, ho ricominciato a far grafiche e a dare una mano ai miei amici di Linoleum – si tratta di un format che prende vita ogni venerdì sera al Rock ‘n Roll di Milano. Inoltre spesso e volentieri mi trovo a scrivere. Un tempo scrivevo canzoni di cui poi componevo la musica e suonavo con la chitarra. Ora, più che altro, scrivo pensieri sparsi e brevi poesie.
Sei tanto giovane. Pensi che sia possibile che la regia sia solo il primo passo in un cammino votato all’espressività in tutte le sue forme?
Assolutamente sì. Le mie passioni sono tante e, per quanto diverse, hanno dei denominatori comuni e confluiscono in un’unica direzione, quella di esprimermi in tutti i modi possibili e magari inventarne altri. Chissà… Ma d’altronde anche Man Ray diceva “I only know one thing: the need to express myself one way or another.” (Conosco solo una cosa: il bisogno di esprimermi in un modo o nell’altro)
Quale tipo di forma artistica ti interessa maggiormente? (canto, poesia, scrittura…)
Non saprei dire in quale forma artistica mi rispecchi maggiormente. Se qualcosa mi emoziona o cattura la mia attenzione per qualche motivo, allora sono curiosa di scoprirla. Il canto e la musica in generale sono forse la cosa che mi porto dietro da sempre, è la mia forma di sfogo per eccellenza. Ascolto musica sempre, quando lavoro, quando esco e quando sono a casa. Infatti non ho un genere preferito, ho musica diversa per ogni situazione. Su un altro fronte invece posso dire di essere particolarmente affascinata dalle silografie dei paesaggi di Hokusai che mi trasmettono una grande pace. Oppure dai girasoli di Emil Nolde o ancora dalle meravigliose contraddizioni surrealiste di Renè Magritte.
Amo anche la poesia come forma di liberazione, quando le parole non sono altro che un simbolo di uno stato dell’essere spontaneo e fragile.
Hai mai pensato ad un film in cui si parli di arte, con dei tuoi lavori inseriti nella storia come piattaforma di lancio? (una tua canzone in sottofondo, dei tuoi dipinti inquadrati o cose del genere)
In realtà, no. Fino ad ora ho sempre cercato di tenere separate le strade artistiche che percorro, anche se spesso queste tendono ad incrociarsi da sole. Accadde più per forma mentis che per contenuti. Quando scrivo un film, ad un certo punto viene sempre fuori la mia vena melodrammatica, magari sotto forma di un solitario monologo psicologico oppure in qualche flusso di consapevolezza. Anche quando metto su carta i miei pensieri sparsi, spesso diventano testi per le mie canzoni.
Tre persone che butteresti giù dalla torre: Non saprei, ma anche se avessi le idee ben chiare, penso che non lo scriverei.
Tre persone che salveresti dalla fine del mondo: (tre sono troppo poche) Mio fratello di sicuro.
Tre persone che riporteresti in vita: Dalì, Hitchcock, Pirandello sono i miei tre miti principali in ambito artistico. Penso sempre che vorrei averli a cena per una sera, magari tutti e tre insieme. Anche se, potendo esagerare coi numeri, direi che riporterei di qua anche Alda Merini per cui nutro profonda stima.
Rispondi con solo una o due parole a queste domande:
Amore? Complicato. Le cose semplici non mi piacciono.
Soldi? Non sono mai abbastanza.
Amicizia? Si.
Successo? Pericoloso e affascinante.
Emozione? Sempre. E’ il germoglio della vita insieme allo stupore.
Viaggi? Dentro e fuori. Passione numero uno. Amo viaggiare.
Relax? Si, sono una persona abbastanza pigra.
Tempo libero? Avercelo!
Casa? Dublino /Milano
Religione? No.
Gioia? Si!
Dolore? Istruttivo e fortificante anche se lacerante. Forza motrice dell’arte, spesso.
Emozioni negative? Ci sono anche quelle, e quando ci sono bisogna saperle accettare.
Valori della vita? Creatività, curiosità, passione, rispetto.
Poesia? Pensieri di passaggio.
Pittura? Surrealismo.
Scrittura? Romanzi e opere teatrali per lo più.
Musica? Culla dell’anima.
Concludi con qualcosa che vorresti dirci, una frase o un aforisma che senti particolarmente.
Vorrei lasciarvi con uno dei miei brevi pensieri di passaggio: “Cieli di cemento e nuvole di mattoni, tempi duri per sognatori inesperti”
Grazie a Camilla Levi per la sua disponibilità e mille auguri per la sua carriera!
Erika Corvo