Amici del wrestling, abbiamo per voi uno speciale su un personaggio eccezionale: Giacomo Giglio, The Greatest! Ve lo presenteremo in tre puntate: la prima è la classica intervista che tratterà di Giacomo in quanto atleta. La seconda puntata sarà incentrata sul suo ruolo di maestro all’interno della FCW, nel polo di piazza Marconi a Pero dove abbiamo avuto il permesso e l’onore di poter assistere agli allenamenti e alle sue lezioni. La terza ci svelerà i suoi retroscena di uomo, piuttosto che di atleta. Vedete bene, non è che svioliniamo: ci sono altri atleti altrettanto bravi, ma noi abbiamo avuto la fortuna e l’opportunità di frequentare lui, Giacomo, da un annetto buono e abbiamo avuto il piacere di poterlo conoscerlo a fondo e apprezzarlo appieno. Ricordiamo come fosse ieri la prima volta che ci siamo incontrati, a seguito di un malinteso su certi commenti inappropriati. La diffidenza reciproca si tagliava col coltello, da tanto era tangibile. Ma tra persone civili si fa in fretta a chiarirsi. Quando poi Giacomo è salito sul ring, è stato come il Big Bang: un intero universo ci è apparso davanti all’improvviso. Da persona qualunque, indistinguibile in mezzo alla folla, tra le corde brilla di luce propria. Una supernova. Da Clark Kent a Superman. È sempre lui, ma è un’altra cosa. Ancora prima che scendesse dal ring, Erika Corvo pensava: “ma ho sprecato tutti questi anni a guardare quel pistola raccomandato di Randy Orton quando c’era lui, dietro l’angolo?”
Era inevitabile che una volta conosciuto a fondo, ci si innamorasse di questo atleta. (Non fatevi idee sbagliate, che è più piccolo dei nostri figli, eh?) Facilissimo, visto che ama il wrestling con la stessa intensità con cui lo amiamo noi. Ama il contatto col pubblico e ama l’arte di intrattenere con spettacoli di ottimo livello. Ama il bel canto e la buona musica esattamente come noi. La pizza, i dolci al cioccolato, le brioches alla crema, giocare coi bambini… Tutto quello che amiamo anche noi: tutto quello che serve per piazzarlo in cima alla nostra top ten.
Giacomo Giglio è il solo uomo in Italia che viva di wrestling. Non è solo uno che lo pratica: è uno che il wrestling lo mangia a colazione, pranzo e cena. L’ha respirato da quando aveva tre anni, è stato il primo in Italia a fondare una (ASD associazione sportiva dilettantistica legalmente riconosciuta), una federazione che ha iniziato da subito a ingranare con la marcia giusta e macina tuttora successi sempre maggiori. È un atleta eccezionale, è maestro, è sul ring da diciassette anni e quando non è sul ring lo trovate nel suo negozio completamente a tema, sempre indaffarato, dove potete trovare qualsiasi cosa inerente al nostro adorato sport. In comune con Kurt Angle ha la passione per la lotta libera e greco-romana, di cui è stato agonista senior per diversi anni, ottenendo discreti risultati a livello nazionale e buoni a livello regionale sia nella lotta libera che nella greco romana nelle categorie 66 kg e 74 kg. Ma lasciamo a lui stesso la parola, che di cose da raccontare ne ha moltissime!
Ciao, Giacomo! Grazie di averci voluto concedere un po’ del tuo tempo. Parlaci di te. Come hai passato la tua infanzia? Sei stato un bambino come tutti gli altri o avevi già una predilezione per il wrestling?
Grazie a voi per l’intervista! Beh, che dire? Sono cresciuto a pane e wrestling. In effetti, la predilezione c’era, c’era tutta. Quando ero bambino, dapprima lo guardavo sulle emittenti locali, poi su Italia 1 e Telepiù. A quei tempi era ancora trasmesso in chiaro e le pay tv non esistevano ancora. Bisogna sapere che da piccolo ero cicciottello e goloso. Per non farmi diventare una palla, mia madre cercò di instradarmi agli sport più svariati (tutti tranne il calcio): minibasket, tennis, atletica, nuoto, judo… Avevo diciassette anni quando mi sono avvicinato alla lotta: libera, greco romana, attività di palestra in generale. La lotta mi piaceva, era quello che più si avvicinava al wrestling. E poi, quale ragazzino non ha mai giocato a fare la lotta?
Sappiamo tutti che il tuo mito è Hulk Hogan. Cosa ti colpiva, di lui, in particolare?
Hulk è il primo ricordo che ho del wrestling. Avevo solo tre anni, ma quanto mi piaceva! Lo guardavo con mia nonna. Mi mettevo seduto accanto a lei e non ne perdevamo una sola puntata. Basti pensare che tra le prime frasi da me pronunciate c’era: “Nonna, quello biondo, quello biondo!” Quello biondo, naturalmente era Hulk! E la cosa più bella era che non era un cartone animato, era una persona vera, in carne ed ossa. Un vero supereroe per tutti i bambini. E soprattutto il mio eroe! So bene di non essere due metri metri per 135 kg e la bandana che porto durante gli incontri è solo il mio tributo verso di lui. Il parco mosse che adotto si rifa più a Kurt Angle che ad Hogan.
Cosa avresti voluto fare, da grande?
Di sicuro il camionista! Mio papà ha sempre avuto delle jeep, e io ci impazzivo… mi piacevano da matti, le jeep! Erano grosse, più delle altre macchine. I suv non c’erano, quindi erano quelle, le macchine più grosse. I camion, però, erano ancora più grossi! E pensavo che se avessi avuto un camion sarei potuto passare sopra a tutte le altre macchine, anche sopra la jeep del mio papà (ridacchia). Un’idea fikissima, vero? Per questo dicevo sempre che volevo fare il camionista.
I tuoi hobby e passatempi, quali erano?
A Milano c’erano un sacco di bellissime sale giochi. Andavo spesso alla New York Games, mi ricordo. Era una delle mie preferite e i video games mi affascinavano, li trovavo favolosi. Avevo le console dell’epoca: il Master System e il Mega Drive. Naturalmente mi piacevano un po’ tutti gli sport, in generale. Da adolescente ho scoperto il karaoke, che amo tuttora. A scuola, i nostri testi di ascolto includevano spesso e volentieri le canzoni dei Beatles. I loro testi sono sempre stati facili da tradurre, e i primi rudimenti d’inglese li ho imparati con loro. Oltre ad aver scritto tante belle canzoni che canto ancora adesso, era facilissimo prenderci dei bei voti nel tradurle e impararle a memoria. Era bello, imparare divertendosi!
Visto che non hai fatto il camionista, che studi hai fatto?
Ho fatto ragioneria. Sono diplomato ragioniere programmatore, ma dopo tanti anni, di programmazione ricordo poco e nulla. Ero bravo in matematica e inglese, però.
E l’inglese lo parli ormai fluentemente. Quanto è importante saperlo bene, nel mondo del wrestling?
Se lavori con atleti stranieri devi saperlo assolutamente. Quando ospitiamo stranieri di un certo livello organizziamo con loro degli stage, e in questi casi l’inglese è la lingua comune per capire e farsi capire. Come puoi imparare qualcosa, altrimenti? Se vuoi lavorare all’estero, lo devi sapere! Alcuni termini convenzionali o i nomi delle mosse, comunque, dopo un po’ che lo guardi, li imparano anche i bambini, e questo aiuta almeno un po’ anche chi l’inglese non lo sa. Ma è comunque importantissimo.
Come mai non hai scelto il calcio, come sport, come la stragrande maggioranza dei ragazzi italiani?
Come detto prima, da piccolino ero cicciottello e goloso. Avevo un bello scatto ma a fiato non ero il top. Giocare a pallone non mi dava soddisfazione, ed ero più scarso rispetto ad altri. Non mi piaceva, non mi ci sono mai impegnato e non mi piace ancora adesso. Ma il vero motivo per cui non l’ho mai fatto è perché mia mamma diceva: “Qualunque sport va bene, ma il calcio… NO! Non nessuna voglia di lavare magliette e calzoncini zuppi di fango e terra!” Magari sarà stato il suo divieto categorico a portarmi dove sono adesso.
Che sport hai praticato, prima di arrivare al wrestling?
Ne ho praticati davvero tanti e con tanto impegno: nuoto, tennis, judo, minibasket, atletica, nuoto, lotta libera, greco romana… bastano? Dal 2000 circa iniziai lotta libera e greco romana a livello agonistico. Ho avuto grandi atleti come allenatori, e ci ho dato dentro. Quando hai dei buoni maestri, se hai passione, riesci ad avere buoni risultati. Alcuni di loro erano originari di paesi dell’est. Erano fortissimi: in quei paesi poveri, la lotta è praticamente lo sport nazionale, forse perché non serve tanta attrezzatura. Se sei bravo, poi, lo stato ti aiuta economicamente nello studio e nel lavoro. In alcuni casi ti trovavano un impiego. Non come qui in Italia. dove i grossi soldi girano solo nel calcio e rimangono le briciole per gli altri sport! Eppure, nonostante tutto, ce la caviamo egregiamente.
Hai ottenuto premi e riconoscimenti, con questi sport?
Sì, nonostante molti fattori a mio svantaggio. Bisogna considerare che gente che appartiene a corpi come l’Esercito, i Carabinieri o i Vigili del Fuoco si deve allenare tutti i giorni, proprio come parte integrante del loro lavoro, quindi sono bravissimi. Hai voglia, a stargli alla pari, quando tu, invece, ti puoi allenare solo 2 o 3 volte a settimana! Eppure, determinato com’ero, i miei bravi risultati li ho avuti anch’io. Sono davvero orgoglioso di aver conseguito qualche secondo e terzo posto salendo in materassina con gente di quel calibro. Sia nelle gare nazionali che in quelle regionali e trofei minori mi sono sempre piazzato nella metà alta della classifica. Ricordo molto bene il secondo posto in una gara di lotta greco romana categoria 74 chili e terzo posto nei campionati regione Lombardia categoria 66 chili. Gli stranieri ovviamente non potevano partecipare a gare nazionali, dovevano accontentarsi delle gare minori. In compenso, lì, facevano razzia dei posti sul podio. E poi c’erano anche quelli che facevano quegli sport proprio di mestiere, professionisti veri! Le mie soddisfazioni sono di non esser mai arrivato ultimo, di non essermi mai fatto male, e di essermi sempre piazzato avanti ad avversari che sulla carta erano molto più quotati di me.
E al wrestling, come ci sei arrivato?
All’incirca nel periodo in cui facevo lotta libera, in Italia iniziava appena a fare capolino qualche video di backyard (wrestling praticato alla buona magari nel cortile di casa, senza veri maestri o attrezzature serie). Agli albori del web di massa contattai in chat Maurizio “Bulldozer” Repetto, che da poco aveva iniziato ad allenarsi con la ICW, la prima sigla italiana della quale son venuto a conoscenza e mi disse di andare là, a Lecco, credo… Sì, era Lecco. Con le basi che avevo di lotta libera feci buona impressione e mi ci appassionai subito… non era poi così difficile! Ricordo come compagni di allenamento Manuel Majoli, Pain, Emilio Bernocchi… nomi che ancora oggi contano molto, in questo sport. Con Manuel ci siamo massacrati di proiezioni su di un ring da boxe. Ci rimasi malissimo quando scoprii che la ICW non convocava sempre tutti a Lecco. Chi non aveva la macchina o qualcuno che gli desse un passaggio saltava il turno, ma erano proprio gli albori. Bulldozer, allora, mi consigliò di passare alla IWA, che successivamente divenne la XIW, e ci andai.
Chi è stato il tuo maestro? Esistevano già scuole di wrestling, in Italia, prima che il maestro fossi tu?
Il primo professionista che ci fece un seminario a Torino su un ring da boxe fu Nick Mondo, ma non mi dimentico che le basi me le hanno date i maestri precedenti – anche se non era wrestling – che ci hanno messo anima e cuore nell’insegnare e che ci facevano sudare sangue! Ai miei tempi, noi che oggi siamo la “vecchia guardia”, si andava in Inghilterra a suon di pounds per imparare dai migliori in assoluto. Costava carissimo! Forse per questo motivo ci si sforzava di ottenere il massimo da questi insegnamenti. Ancora oggi, l’Inghilterra sforna un sacco di personaggi di grande talento. Io ho appreso quello che più mi era congeniale da tutti coloro che mi hanno insegnato: Nick Mondo, Ruckus Trent Acid, Mark Sloan, Paul Burchill, fino a Joe E Legend e, dal 2005 in poi, tutti coloro che fanno stage da noi. Oggi cerco di trasmettere a mia volta tutto quello che ho appreso a chi ha la pazienza, l’umiltà e la voglia di ascoltare.
Cosa bisogna fare per mantenersi in salute, con tutti questi sport? Cosa bisogna evitare?
Praticare assiduamente qualche sport, non eccedere con il cibo spazzatura e, soprattutto per chi li ha, eliminare vizi quale fumo e alcool.
Come si diventa maestro?
Partendo dal presupposto che in Italia, il pro wrestling, è ancora tutto da definire, credo che tutto stia nei percorsi formativi e dalla vita sportiva presentata ad un ente che devono essere validi e riconosciuti (ma questo serve più forse a fine assicurativo). Oltre a questo devi anche avere le capacità di trasmettere tutto il tuo sapere: le mosse, la filosofia, i trucchi, le arguzie, la componente atletica e quella scenica. Occorre tempo, umiltà, pazienza, saper essere a volte flessibili e a volte rigidi. Solo in questo modo chi partecipa alle lezioni potrà imparare e avere anche dopo anni lo stesso entusiasmo del primo giorno. A volte ci riesci, a volte sei incompreso, e non c’è una regola che valga per tutti. Ognuno ha il suo modo di insegnare… e ognuno ha sicuramente qualcosa di valido. I feedback che ricevo e le persone che ho messo sul ring sono il miglior metro di giudizio. Il mio, alla fine, è solo un parere.
Come si insegnava, cosa si faceva e cosa ci si aspettava, allora? E cosa è cambiato, da allora, nel modo di insegnare?
Le aspettative di allora erano solo divertirsi un fracco anche a costo di correre dei rischi. Diciamo dal 2002, 2003 iniziammo a maturare, a capire davvero la disciplina, e allora facemmo di tutto per diffonderla nello stivale, ognuno coi suoi modi, ognuno con le sue scelte, ma tutto a costo di spostamenti e sacrifici enormi. Cosa che la nuova generazione, ahimè, non capisce nonostante si cerchi sempre di spiegarglielo.
Cosa deve essere e cosa non deve essere, un buon maestro?
Anche in questo caso non credo esista una regola valida per tutti, a riguardo. Posso solo dire la mia opinione. Sicuramente non devi mai dire che una cosa è perfetta ma che può essere sempre un filo migliorata. Questo “essere esigenti” serve sia ad infondere fiducia e valore al trainee (allievo), ma anche a spostare l’asticella un po’ più in alto. Un buon maestro deve mettere la sicurezza al primo posto e darti fiducia. Non a caso le prime proiezioni con i nuovi trainee sono ancora io a farle e a subirle, e ormai sono oltre quindici anni che insegno, in diciassette anni di pratica. E non mi sono ancora stancato
E un buon allievo?
È indispensabile che possieda doti come pazienza, umiltà , voglia di ascoltare e curiosità nel chiedere. Per me, un fenomeno arrogante e irrispettoso può benissimo starsene a casa. Al contrario, uno su cui non punteresti un centesimo ma che si suda due magliette ogni allenamento, vale la pena di dargli tutto il tempo che puoi.
Quali allievi ti hanno dato maggior soddisfazione?
In generale tutti. Tutti, alla fine, mi hanno dato qualcosa: dai primi agli ultimi. Una grande soddisfazione mi viene da quelli che se ne sono andati e poi tornati indietro, a quelli hanno riconosciuto che gli sia stato utile nel loro percorso.
Qualcuno ti ha mai deluso pesantemente?
In termini di puro insegnamento, non mi sento deluso da nessuno direi. In termini di fiducia mal riposta, allora sì: ci sono persone che mi hanno deluso. Ma sai, alle volte è stato per colpa della mia troppa ingenuità. Alla fine, però, io sono ancora qui e ho un sèguito. Queste persone che credono di aver fatto chissà che numeri o che, come dici tu, mi hanno deluso, invece, mi hanno dato solo modo di reagire o di correggere il tiro laddove per eccesso di bonarietà abbia dato fiducia alle persone sbagliate.
Ma andiamo con ordine e facciamo un passo indietro. Quando hai deciso di fondare la FCW? Ovviamente non eri da solo: ci sono stati soci o persone importanti per la riuscita dell’impresa?
In principio esisteva la IWA, e uno dei suoi pregi era di dare importanza ai valori umani, ai sacrifici e all’amicizia. Non fu più così, in seguito. La XIW avrebbe dovuto nascere dalle ceneri della IWA, ma qui i valori umani sarebbero stati accantonati per fare spazio ad un discorso convenientistico, e la cosa non mi piacque per nulla. Decisi di fare qualcosa, di creare io stesso una federazione. Dove l’anno precedente avevo allenato per il polo XIW di Milano, al Palaiseo di Affori, iniziai ad allenare sotto la sigla FCW. Era il 4 dicembre 2003, e tutto era ancora da definire, tutto campato in aria. Mi informai per bene su tutto ciò che concernesse le varie regole statutarie delle associazioni senza scopo di lucro, costi, permessi e scartoffie varie e… Sì, potevo farcela! Il 21 maggio 2005 vide la luce la FCW Entertainment: LA PRIMA SOCIETÀ SPORTIVA DI PRO WRESTLING LEGALMENTE RICONOSCIUTA in qualità di ASD, senza fini di lucro. Come ente di promozione scegliemmo l’ACSI, ente riconosciuto dal CONI.
Il wrestling è una disciplina relativamente nuova, per l’Italia, e tu sei stato il primo a fondare una federazione. Immagino abbiate dovuto stabilire regole, regolamenti, parametri e quant’altro per definire questo sport. Cosa avete stabilito, esattamente? Cos’è il wrestling, per la legislatura italiana?
Per la legislatura non saprei dirlo nemmeno io. Se facciamo ricerca in internet, viene fuori che “Wrestling è una parola inglese traducibile in lingua italiana con il termine “lotta”. È una forma di spettacolo che combina performance atletiche e teatrali, basato sulla lotta tradizionale, con l’aggiunta di prese e manovre acrobatiche che derivano per la maggior parte da varie arti marziali. I protagonisti sono atleti professionisti che si affrontano in incontri dall’esito prestabilito dove si esibiscono in azioni particolarmente spettacolari per divertire il pubblico.” Per farla breve, secondo me, può essere paragonato ad un teatro con dentro degli stuntman. Per quanto riguarda noialtri, intesi come FCW, l’ACSI ha riconosciuto sia la componente sportiva atletica del pro wrestling che tutte le caratteristiche di un circolo, inteso come centro di aggregazione o ricreativo. Ci sono ASD che vanno dal burraco all’equitazione e ci sono circolini che non sono altro che bar riservati a soci, quindi presumo che noi, a livello legislativo, siamo un centro sportivo per soci. Adesso anche alcune palestre ti fanno socio. Diciamo che, per farla figa, siamo un club privato.
Come è stato, fondare la FCW? Quanti e quali ostacoli hai dovuto superare?
Tanta burocrazia, tempistica e tante cose che non si sapevano: agenzia delle entrate, attribuzione codice fiscale, regole associazionismo, bolli… Ma una volta informati su tutto non è stato poi difficilissimo
Come sei arrivato alla palestra di piazza Marconi a Pero?
Anche se dalla fine del 2011 all’inizio del 2014 l’attività di academy fu sospesa, la FCW, ufficialmente, non cessò mai la sua attività. Quando l’academy riprese, iniziammo a cercare il luogo giusto in cui collocare il nostro ring. Alfredo Nicolardi (ringname: Entertrainer) ne aveva già uno ed io ne avevo acquistato un secondo. Dalla prima sede del Palaiseo, in cui c’erano solo i tatami, provvisoriamente passammo alla piccola palestra della parrocchia S. Bernardo. Dopo qualche mese ci appoggiammo al centro sportivo Cereda di Cesano Boscone, giusto il tempo di organizzare due show: il decimo anniversario della data di costituzione della FCW e il primo Summerclash. In seguito al cambio di gestione del centro Cereda nel settembre 2015, ci spostammo a Pero nella bellissima palestra di piazza Marconi. A Pero ci offrivano e ci offrono tuttora delle belle agevolazioni e l’ambiente è ottimo. Da allora è lì che teniamo i nostri allenamenti e spettacoli. La giunta comunale è felice di averci ospiti nella loro città. Tra l’altro siamo stati recentemente premiati dal sindaco per l’attività sportiva e ricreativa svolta in loco.
E la tua famiglia, cosa pensava di tutto questo? Sapevano già che sarebbe stata una cosa seria o pensavano ad un capriccio, un hobby o comunque qualcosa che non avrebbe segnato la tua vita?
Capriccio? No, no! Come già detto, io sono cresciuto a pane e wrestling: giochi, video giochi, flipper, gioco in scatola, costume di carnevale, biglie, card da collezione… avevo praticamente tutto del wrestling! Sotto questo aspetto non sono mai stato ostacolato dai miei genitori, anzi sono stati i miei primi sostenitori.
Hai mai avuto incidenti seri?
No, incidenti seri, no. Ma qualche ammaccatura, ogni tanto, capita. Qualche brutta caduta, qualche livido, una caviglia distorta e ahimè, qualche punto al gomito dopo un match con El Ligero, ma cose risolvibili, nulla di serio. Il danno più grosso me lo sono procurato con la lotta libera, direi che sia stato la borsite al gomito, ma di solito sono molto puntiglioso nel fare le cose in sicurezza.
Hai mai avuto guai seri?
Io, personalmente, no. Ma ho rischiato di farmi coinvolgere in una brutta faccenda di cui non avevo assolutamente colpa. Nel 2006 si fece seriamente male un ragazzo che era convinto di allenarsi in un polo della FCW ad Imola. In realtà, chi gestiva quel centro non aveva nulla a che fare con noi, che nemmeno abbiamo mai avuto sedi ad Imola! A queste persone faceva un sacco comodo spacciarsi per qualcun altro, in modo da evitare non solo di doversi addossare qualsiasi responsabilità, ma di poterla all’occorrenza scaricare su qualcun altro: in questo caso, noi, la FCW… Me, in particolare, in quanto legale rappresentante della società. Il ragazzo, non solo si era “fatto male”, ma dai referti medici spicco’ una frase: “tali lesioni” si appurava, “esulano dalla normale attività sportiva praticata”. Non ho idea ancora oggi di cosa sia successo!! Sia il ragazzo che la palestra in cui avvenne il fatto si mossero per intentare causa! Alla FCW in primis e all’ACSI in secundis, in quanto affittuari dello spazio. Solo in quel momento venimmo a sapere che qualcuno si spacciava per noi! Ovviamente si accertò in fretta la nostra completa estraneità ai fatti. Ritirarono subito la querela con un sacco di scuse, replicando che si fossero basati soltanto sulle informazioni errate fornite in buona fede dal ragazzo vittima del pestaggio. Non so nemmeno come andò a finire la cosa: a noi, a me, interessava solo uscirne puliti, e così accadde. Le uniche conseguenze si ridussero ad un grande spavento per me, e ad un brutto ammonimento da parte della ACSI a non farci coinvolgere in cose strane per il futuro. A causa della cattiva pubblicità che questo fattaccio aveva arrecato al pro wrestling, non ci convocarono per un evento multisportivo ACSI organizzato nel centro di Milano, che sarebbe stato per noi occasione di una grande visibilità.
C’è un sacco di gente che si diverte a seminare zizzania tra le federazioni, o ad insultare pesantemente chiunque gli stia antipatico per qualunque motivo. A cosa pensi che sia dovuta una simile bassezza? Invidia? Ignoranza? Pura cattiveria? Cretineria bella e buona?
Ognuno ha i motivi più disparati, su questo glisserei. Ma ancor peggiori di questa accozzaglia di persone ci sono quelli che oltre a parlare male di te alle tue spalle nascondendosi dietro a pseudonimi o nomi di fantasia, davanti ti fanno pure i sorrisini e la bella faccia! A me, non fanno nemmeno pena.
Chi sono stati i tuoi primi allievi? Hanno continuato o si sono persi lungo la via?
Beh, bisognerebbe tornare con la memoria a prima della FCW… sicuramente Matteo Valenti (l’originale Phantom), Francesco Bizzini (Outsider) Davide Fedele (Brutus), Lorenzo Bossa (da noi Steve, poi Extreme Panther, o Sabor) , Dario Ferraro (Poison da noi, Scandalo ora) Gabriele Ciarla (Soldier da noi e Martini ora), e successivamente Alessandro Mazza (Griever da noi, ora Nemesi). Questi solo per citarne alcuni che ancora sono attivi, ma ce ne sono moltissimi altri.
Come si organizza, uno show? Fai tutto da solo o c’è qualcuno che ti aiuta, in questo difficile compito?
Ovviamente faccio molto per gli show , ma il segreto del nostro prodotto è un immenso e instancabile lavoro di squadra. È più che difficile: è davvero sfibrante.
Che lavoro fai, per vivere?
Dal giugno 2014 sono il titolare dell’attuale “Wrestling Planet”, che prima era “Wrestlingstore Milano”.
Come ti è venuto in mente di aprire il “Wrestling Planet”?
Avevo già una mezza intenzione di aprire un’attività commerciale, magari legata alla palestra, agli integratori e alle attività sportive. Poi, data una lunga conoscenza con Andrea Martinelli, titolare del Wrestlingstore.it storico (negozio on line e show room di Verona) e l’occasione di aver trovato uno spazio adatto, ho pensato che fosse il momento giusto per aprire uno store a tema in Milano. Sicuramente devo molto ad Andrea per quello che riguarda gli articoli in fase di avviamento del mio negozio. Ho investito in questa avventura tutto il mio impegno, il mio tempo e le mie risorse, fino ad arrivare al mio brand Wrestling Planet.
Prima di aprire il Wrestling Planet, cosa facevi?
Allenavo alcune persone presso la palestra parrocchiale come preparatore atletico. Per molti anni ho lavorato per la provincia: facevo l’assistente ad un ragazzo disabile, a scuola e a domicilio. Ho lavorato per una multinazionale italiana famosa nel mondo per la produzione di energia. Per due anni e mezzo, presso un’azienda di management di beni e servizi. Poi in un’azienda di spedizioni e logistica subito dopo il diploma … insomma ho fatto un po’ di tutto, compreso traslochi e inventari (ridacchia).
Come riesci a conciliare il lavoro con gli allenamenti, la scuola, gli show…? Ti avanza ancora tempo per qualcosa?
Nonostante io sia molto disordinato, cerco di organizzarmi. E riesco a trovare anche un po’ di tempo per la vita privata e qualche hobby.
Sei un atleta professionista, sei maestro e il tuo lavoro è vendere oggetti legati al wrestling. Ti rendi conto di essere l’unico uomo in Italia che riesca a vivere con questo sport? Quali sono le tue considerazioni in merito?
Diciamo che sono l’unico praticante di pro wrestling che riesca a camparci, ma più grazie al suo lavoro che al lottato. Ci sono alcune persone che campano di wrestling più e meglio di me. Potrei citarti chi il wrestling lo commenta – vedi il duo di Sky che, dai, non sono poi così antipatici come molti credono: fanno il personaggio che sono pagati per fare.
Da dove arriva il ringname TG?
Negli anni attorno al 2000 c’erano un sacco di lottatori il cui ringname era formato dalle iniziali dei loro nomi o dello stesso ringname: vedi Triple H (Hunter Hearst Helmsley), HBK (Heart Break Kid), o JJ (Jeff Jarrett) giusto per citarne qualcuno. Quando ho iniziato, al momento di trovare il mio nome d’arte, anch’io volevo un appellativo di sole iniziali, e TG mi piaceva un sacco, suonava bene, e mi immaginavo il pubblico che lo cantilenasse. C’era (e c’è ancora) un sacco di gente ancora convinta che fossero le iniziali del vero nome di Hulk Hogan (Terry Gene), ma erano invece le iniziali del nome di mia mamma: Tiziana Gemma! Cambiare qualcosa? Aggiungere anche l’iniziale del cognome di mia madre, Beda, e ottenere TGB? Non avrebbe cambiato nulla in quanto anche Hogan ha le stesse lettere, dato che il suo nome completo è Terry Gene Bollea. E allora ho lasciato TG, e ognuno creda quello che gli fa più comodo credere! Un giorno accadde che durante uno show, il responsabile della Xiw commentasse: “E se la Xiw ha Mister Excellent, perché la FCW non può avere The Greatest?”, interpretando in quel modo la sigla TG. Beh, il commento piacque a tutti, e da quel momento TG ha avuto quel significato!
Tirando le somme della tua vita, cosa rifaresti, cosa cambieresti e cosa non rifaresti più?
Sicuramente rifarei tutto ciò che ho fatto legato al wrestling. Sarei molto più cauto nel dare la mia fiducia ad un sacco di persone. Avrei sicuramente meno amici, ma almeno eviterei delusioni davvero grosse sia in campo sportivo che sentimentale e lavorativo. Altre persone non le vorrei proprio più avere attorno, soprattutto quelli che hanno contribuito a vanificare progetti in cui avevo creduto e investito molto. Cosa non rifarei proprio più, è tingermi i capelli come Ric Flair, cosa che feci appena diplomato, per aver perso una scommessa.
Oltre a tutto quello che fai, so che hai una bellissima voce e ti esibisci spesso nel karaoke. Da dove arriva la tua passione per la musica?
Bellissima? Uh, mamma! Dai, me la cavicchio. La voce era sicuramente migliore e più allenata tanti anni fa, ai tempi delle superiori. Come già detto, avevo una prof di inglese che faceva listening usando delle canzoni inglesi (sempre anni 60 e 70), e nelle varie gite scolastiche c’erano sempre le cantate in pullman… Presumo facesse parte della mia generazione, cantare appena ce ne fosse occasione. Da adolescente, le prime “cantate” sono state agli sposalizi dei parenti in Calabria. Tra le tante mie attività, ero tenore nel coro della chiesa. Andavo a messa, ma era una noia stare tutto quel tempo in silenzio e a dire “amen” mille volte, più un “Credo” e un “Padre Nostro”. Per vivacizzare la cosa mi venne in mente di andare alle prove del coro con un amico, anche lui adolescente, nella Parrocchia di San Bernardo. Il coro era a quattro voci differenti: soprano e contralto le femminili, tenore e basso le maschili. Prima del nostro arrivo, l’età media era di sessantacinque anni! Poi venne di moda il karaoke, che divenne presto una passione. Solo che prima arrivavo facilmente a note impossibili… Poi si sa, nei ragazzi, con l’adolescenza, la voce cambia. Adesso faccio assai fatica ad arrivare alle note più alte, ma se trovassi il tempo di allenarmi un po’, sono sicuro che potrei ancora farcela.
Hai altri hobby o altre passioni?
Non proprio hobby, ma ci sono cose che ancora mi incuriosiscono e che magari mi piacerebbe approfondire. Ho amici che facevano ginnastica artistica e da loro ho imparato qualcosina. Da quando mi alleno in palestra, ogni tanto mi diverto a provare qualche tecnica del powerlifting e del crossfit. Gioco a burraco. Se c’è bel tempo faccio un po’ di mountain bike. Tutto qui. Ah, no: dimentico il tennis da tavolo!
Progetti per il futuro?
FARE WRESTLING DIVERTENDOMI IN SPENSIERATEZZA
Ringraziamo Giacomo per il tempo e la pazienza che ha avuto per noi. Ricordiamo che potete venire a conoscerlo nel suo negozio Wrestling Planet di via Lepontina 11 a Milano o nella bella palestra di piazza Marconi a Pero durante gli allenamenti ogni sabato alle 20.30 circa… magari vi verrà voglia di iscrivervi alla sua academy.
Altri due articoli: “Giacomo Giglio maestro” e “Giacomo inteso come uomo” seguiranno questo primo articolo nello special su TG, the Italian Immortal.
Stay tuned!
Erika Corvo