Nella foto, in alto: il “Teatro NO”, il celebre teatro giapponese
Diceva Zeami – commediografo, attore e pensatore giapponese del 1400 che rese il NO un’importante forma teatrale, fissandone la forma e il canone artistico sia nella recitazione sia nella struttura drammaturgica e scenografica- “Per un movimento violento del corpo, un movimento gentile dei piedi; per un movimento violento dei piedi, un movimento gentile del corpo”. La stessa delicatezza nella forza, la stessa armonia di gesti, la stessa realtà o meglio dire naturalezza, che caratterizzano la gestualità nelle arti marziali. Gli attori del teatro No iniziavano prestissimo, fin da piccoli, l’allenamento alla danza e al canto per acquisire i ruoli specifici che sarebbero stati attribuiti loro più avanti. Col loro costume di scena, impersonando un vecchio, una donna, un giovane o un demone (i ruoli di rito), gli attori passavano ore davanti allo specchio, soli in una stanza, per diventare tutt’uno col loro personaggio.”.Diventate ciò che state impersonando e poi trovate l’abilità per farlo”: come non paragonarlo alla tecnica di immedesimazione in un animale o in un fiore che si studiano nel kata? “Unite tutte le arti in un’unica intensità di mente”,continua Zeami. Diceva ciò ai suoi allievi insegnando loro a collegare tutto tramite lo spirito o il KI (energia) dell’attore stesso, che in caso contrario avrebbe perso la sua presa sul pubblico. Non ci ricorda forse le stesse tecniche utilizzate nello zazen e nelle arti marziali?
Alessandro Deiana