Santa Giuletta, minuscolo paese dell’Oltrepo Pavese, è distribuito fra la collina e la pianura, con varie frazioni sparse qua e là in mezzo ai vigneti. All’origine si divideva fra Castello, nucleo più antico , sito a circa 300m.s.l.m., in zona pre-appenninica e la Villa, in pianura, divenuta , in seguito, il centro del paese. Questo comune di circa 1660 abitanti, è adagiato lungo la SS10 Padana Inferiore, cosiddetta Via Romera, strada percorsa, anticamente dai pellegrini che, dalla Francia meridionale, si recavano a Roma.
E’ situato in una posizione geografica piuttosto curiosa perché trattasi di un’appendice di Lombardia incuneata fra il Piemonte, la Liguria e l’Emilia. Eppure nonostante sorgesse in una zona un po’ sperduta, Santa Giuletta è riuscita a emergere per la sua prosperosa attività di produzione di bambole e loro componenti.
Proprio per questo, dal 1933 e fino all’inizio degli anni ‘70, ha vissuto il suo periodo di gloria, diventando un paese industriale: l’industria del giocattolo. La Norimberga italiana. Sorse, in via sperimentale, la prima fabbrica di bambole, la Fata di Milano, che scelse Santa Giuletta per avviare la propria produzione.
Il tutto iniziò in una stanza con 7 operaie che lavoravano con passione per creare bambole economiche, fatte di pezza imbottita di rivia, minuscoli filamenti di legno di pioppo delle rive del Po. La testa era modellata con cartone pressato, ricoperto di gesso , occhi e bocca venivano dipinti. La richiesta di queste bambole era così forte, che altre fabbriche nel giro di poco tempo sorsero diventando ben 15 e dando lavoro a tutto il paese ed ai paesi limitrofi, fondando la propria economia su questa produzione.
Santa Giuletta venne portata alla ribalta internazionale. Con la popolarità, si iniziò a lavorare sulla ricerca di un materiale più idoneo ad esaltare la bellezza di queste pupe. Dalla pezza, si passò alla cartapesta, al polistirolo, al polietilene, al vinile. Vagoni di bambole e di parti di esse, partivano ogni giorno non solo per il mercato italiano, ma anche per quello estero. Nacque un’industria dell’indotto per fabbricare accessori e parti di completamento. Chi si specializzava in voci, chi in occhi, capelli, scatole, etc. Per quanto riguarda i vestisti, possiamo dire che esisteva un vero e proprio atelier in cui, delle modiste, disegnavano abiti che sarte cucivano e rifinivano manualmente con decorazioni pittoriche.
La bambola più richiesta era la Damina. Vestita sontuosamente con tessuti pregiati, veniva acquistata per essere usata come suppellettile, da mettere sul letto o sul divano. A fine anni ’60, venne costruita la bambola più alta: cm. 106. Dicono che, vista da lontano sembrasse una vera e propria bambina! Spingendosi verso nuove esperienze nel mondo del giocattolo, si iniziò a costruire peluche e giocattoli in plastica per andare incontro alle nuove esigenze di mercato.
Su disegno di Maria Perego, venne messo in produzione il famoso Topo Gigio, un pupazzo dolce e buffissimo, divenuto successivamente, anche personaggio televisivo che ha reso felici tutti i bambini della seconda metà del secolo scorso. Ma non riuscendo più a stare al passo coi tempi, che richiedevano l’utilizzo di materiali innovativi, le ditte di questo villaggio chiusero i battenti.
A ricordo di questo periodo florido che, grazie alle sue bambole, aveva fatto conoscere al mondo questo piccolo paese, nel 2005, l’Amministrazione Comunale,inaugurò il Museo della Bambola dedicandolo a Quirino Cristiani, nativo di Santa Giuletta, primo realizzatore in assoluto di lungometraggi di cartoni animati, precursore di Disney. Il museo ha annesso un laboratorio di bambole di cartapesta ed è gestito dalla Commissione Museale che sovrintende le varie attività. Ivi sono collezionate bambole di ogni tipo, dimensione, colore e materiale, ma anche giocattoli, calchi, fotografie, macchinari e strumenti impiegati per la lavorazione. Esso non è solo un fedele reportage di un processo di perfezionamento nella costruzione del giocattolo, ma anche una testimonianza di una realtà economica e sociale del 1900.
Michele Bianchi