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Kamishibai: dall’antico Giappone uno strumento per la didattica di oggi

Il Kamishibai, con il suo nome curioso, è una forma di narrazione per immagini e parole con una lunghissima tradizione alle spalle. Nasce, infatti, nel Giappone del XII secolo. Il suo nome è composto da “kami” (carta) e “shibai” (teatro, rappresentazione, gioco), in quanto prevedeva l’accompagnamento del racconto orale con rotoli di carta dipinti con immagini.

Nella foto, in alto: kamishibai chiuso

Originariamente, era un metodo utilizzato dai monaci buddhisti per rendere edotta la popolazione, a maggioranza analfabeta, sulla vita del Buddha e gli insegnamenti morali da seguire. In un secondo momento, fu adottato dai cantastorie, che deliziavano per le strade un vasto pubblico. La figura del narratore e il metodo subirono un’evoluzione nel tempo, fino a caratterizzarsi in modo del tutto particolare nel ventennio tra le due Guerre Mondiali. In questo periodo, il narratore era solito spostarsi per quartieri e villaggi con una bicicletta, sulla quale veniva montato un teatrino di legno ripieghevole a forma di valigetta e una serie di tavole illustrate. Proprio questa è la forma di kamishibai che conosciamo oggi e da cui è possibile trarre ispirazione anche in ambito didattico.

Le tavole hanno una connotazione specifica: ognuna è dedicata a un passaggio della storia e riporta da un lato un disegno e dall’altro il relativo testo scritto. Tavole siffatte sono pensate per essere inserite in una fessura del teatrino di legno e scorrere una dietro l’altra nel corso della narrazione, in modo che il pubblico possa seguire la storia ammirando il disegno e, contestualmente, ascoltando il testo letto dal narratore.

Si evince da subito quanto possa essere utile questo strumento per la didattica. Innanzitutto, permette agli spettatori di recepire la narrazione attraverso la sollecitazione di due canali, quello visivo e quello uditivo, con conseguenti ricadute positive in termini di apprendimento.  Ma, soprattutto, si tratta di uno strumento che permette agli alunni di esprimere tutta la loro creatività, in modo collaborativo e applicabile a qualunque disciplina di studio. Nel momento in cui agli alunni stessi venga assegnato il compito di realizzare una storia con il kamishibai, questi potranno sperimentare sia la scrittura creativa che l’espressione artistica, lavorando in gruppo, dividendosi le fasi del progetto, ripartendosi i ruoli e avendo, infine, la possibilità di presentare al resto della classe il proprio prodotto.

Non è necessario, tuttavia, rimanere vincolati alla scrittura di testi. Si può pensare di applicare questo strumento narrativo a qualsiasi materia, non necessariamente umanistica, e a qualsiasi lingua. Ad esempio, volendo trattare un argomento di scienze e partendo dal proprio libro, gli alunni potranno allenarsi sulla comprensione del testo e sulla sintesi, elaborando delle tavole dedicate ai paragrafi salienti del capitolo. Corredando le tavole con le immagini ed esponendo il lavoro alla classe, potranno consolidare e sedimentare con più facilità e naturalezza l’argomento. Inoltre, grazie al lavoro collaborativo e alla condivisione, le probabilità di raggiungere un apprendimento significativo saranno decisamente più alte rispetto a una poco stimolante lettura e sottolineatura del testo.

Nondimeno, si tratta di uno strumento estremamente inclusivo, perché permette a tutti e a tutte di esprimersi secondo le proprie possibilità. Ognuno potrà partecipare al lavoro, offrendo il proprio contributo. Inoltre, la semplicità della parte testuale e l’uso delle immagini permettono di rendere gli argomenti di studio o il lavoro di scrittura accessibili a chiunque.

E poi, perché non costruirlo insieme? Con un po’ di pazienza e la supervisione dei docenti, si possono anche assemblare le assi in legno e realizzare il proprio manufatto originale.

Luana Vizzini

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