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La Città Proibita. Simbolo del potere imperiale nella Pechino dell’Ottocento

Atmosfere orientali e lontane nel tempo. Cultura ed eleganza. La Città Proibita racconta tutto questo.

Tutto iniziò nei primi anni del XV secolo, sotto il regno di Zhu Di, imperatore della dinastia Ming. Egli volle attribuirsi il nome di Yongle (= “imperatore della pace perpetua”), e trasferì la capitale nella città di Dadu, che chiamò Beijing (= “pace del Nord”), ovvero l’attuale Pechino.

Nella foto, in alto: uno scorcio della città proibita

Proprio qui diede ordine di costruire la Città Proibita, un imponente complesso di edifici, mura massicce e più di diecimila stanze. Il cui ingresso era, appunto, consentito solo all’imperatore e ai suoi più alti funzionari.

Lì tutto parlava della grandezza imperiale: l’altezza degli edifici, crescente man mano che ci si avvicinava al centro del potere, la loro magnificenza e la loro spettacolarità.

La Città Proibita era anche un notevole centro di cultura. Mentre in Italia fioriva l’Umanesimo, Yongle ordinò di redigere un’enciclopedia che riportasse tutta la storia della letteratura cinese. Fu realizzata un’opera imponente, di ben ventidue volumi. Inoltre, benchè fosse buddhista, l’imperatore era interessato allo studio di tutte le religioni e per sua volontà fu prodotto il primo Corano in cinese.

Venivano realizzati anche rotoli di estrema raffinatezza, che combinavano pittura e calligrafia. Gli Europei erano soliti appenderli come quadri, mentre i cinesi amavano srotolarli e leggerli privatamente come libri, mostrandoli agli ospiti solo in occasioni molto speciali. Solitamente venivano offerti in dono ed erano il prodotto di una cultura e di una sensibilità artistica raffinatissima.

Nella foto, in alto: turisti presso la Città Proibita

Oltre ai rotoli, molto apprezzati erano anche gli oggetti di lusso in lacca o porcellana. Sotto la dinastia Ming, la Cina divenne famosa in tutto il mondo per i suoi vasi e i piatti in porcellana bianca e blu, oppure realizzati con la tecnica cloisonné: l’artigiano realizzava il disegno con fili metallici e poi riempiva gli spazi vuoti con una pasta di vetro colorata. Non è raro trovare vasellame in cui vengono rappresentati dei draghi, simbolo del potere imperiale.

Molti oggetti di arredamento, poi, erano realizzati con la lacca: un prodotto ottenuto dal succo tossico di una pianta. Applicato sul legno in strati successivi, permetteva di ottenere un effetto lucido di notevole eleganza. Talvolta venivano applicati fino a cento strati di lacca, che poi venivano intagliati con motivi decorativi.

Inoltre, proprio quando in Europa prendevano il via le esplorazioni oltreoceano, Yongle inviò l’ammiraglio Zheng He a esplorare i mari con più di trecento navi, con lo scopo di approfondire la conoscenza della geografia.

Troppo spesso siamo vittime di una visione eurocentrica, estremamente limitante. Attribuiamo al Quattrocento glorie tutte italiane: Leon Battista Alberti, Antonello da Messina, Sandro Botticelli, Giovanni Bellini, Marsilio Ficino, Pico della Mirandola, Matteo Maria Boiardo e molti altri ancora. E dimentichiamo che dall’altra parte del mondo, in Oriente, fioriva una cultura altrettanto raffinata e magnificente.

Luana Vizzini

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