25 marzo 2021, ovvero Dantedì. La giornata dedicata alla celebrazione del Sommo Poeta. Ma come celebrare degnamente Dante, tra i numerosi eventi a lui dedicati? Ricordando l’eredità linguistica scaturita dalla sua straordinaria creatività. Infatti, proprio come gemme preziose nel ricco tesoro del plurilinguismo dantesco, i neologismi rilucono tuttora nella lingua italiana.
Ovviamente, ve ne sono di paradisiaci e di infernali, di sublimi e di vilissimi. Tra i primi, si ricordano “indiarsi”, assimilarsi a Dio (Pd IV 28), “trasumanare”, trascendere la dimensione umana (Pd I 70) e “imparadisare”, innalzare a una felicità paradisiaca (Pd XXVIII 3). Lemmi che con la loro potenza assolvono l’obiettivo di esprimere l’inesprimibile, ovvero l’elevazione al divino. Così, anche “inzaffirarsi”, adornarsi di luce come zaffiri (Pd XXIII 102), rende con estrema immediatezza e icasticità un’immagine di sfavilii rifranti e luminose iridescenze.
Nella foto, in alto: statua dedicata al Sommo Poeta
Non mancano, poi, espressioni che restituiscono alla mente un’estrema e repentina violenza, quali “arruncigliare”, afferrare con il ronciglio, ovvero un’arma a forma di uncino, (If XXI 75 e XXII 35) e “acceffare”, afferrare con il ceffo (il muso), azzannare (If XXIII 18). Di straordinaria efficacia rappresentativa è anche “indracarsi”, diventare feroce come un drago (Pd XVI 115). Tra i lemmi forgiati nell’officina linguistica di Dante vi sono anche “imborgarsi”, essere pieno di borghi (Pd VIII 61), “infuturarsi”, prolungarsi nel futuro (Pd XVII 98) e “inventrarsi”, stare nel ventre (Pd XXI 84). Solo per ricordarne alcuni.
Ma sono le locuzioni a essere rimaste con maggiore incisività nella lingua italiana moderna. Basti pensare a come, ancora oggi, ricorriamo all’espressione “far tremare le vene e i polsi” (If I 90) per indicare qualcosa che provoca profondo terrore e sgomento, come la lupa del selva oscura. Oppure, pensare a come si definisca “sanza ‘nfamia e sanza lodo” (If III 36) qualcuno che non brilla per le proprie azioni, né positive, né negative, come gli ignavi alle porte dell’Inferno.
Così, anche il modo di dire “stai fresco!”, per indicare che una situazione avrà un esito poco rassicurante, deriva da una potente immagine infernale: il Cocito, lago ghiacciato posto nel punto più basso del regno di Lucifero, “dove i peccatori stanno freschi” (If XXXII 117).
Qui i traditori, infatti, si trovano conficcati nel ghiaccio, colpiti da gelide raffiche di vento. Ma la definizione forse più carica a livello emotivo, più poetica, più coinvolgente è quella di “Bel Paese” (If XXXIII 80) per indicare la nostra Italia.
Luana Vizzini