La disabilità intellettiva riguarda un’alta percentuale di alunni, con diversi livelli di gravità. Nell’anno scolastico 2018/2019 il 68,8% degli alunni con disabilità presentava una disabilità intellettiva. Da questi dati emerge l’urgenza di individuare delle strategie didattiche ed educative più adatte per offrire a questi alunni il miglior percorso scolastico.
Il primo passo è quello di realizzare una buona osservazione degli alunni, in quanto ognuno presenta dei punti di forza e dei punti di debolezza specifici e necessita di un intervento mirato. Tenuto conto del fatto che ogni singolo alunno ha delle esigenze personali, è importante anche conoscere quali sono le peculiarità comuni a questo tipo di disabilità.
In primo luogo, c’è la rigidità di pensiero. Questo comporta una spiccata difficoltà nel problem solving e nella produzione di collegamenti logici. L’alunno, in possesso delle informazioni utili per l’esecuzione di un compito, non riesce a metterle in relazione tra loro e a usarle per risolverlo. Infatti, la mancanza di elasticità mentale determina una carenza nelle funzioni esecutive.
Anche se riesce ad apprendere e a memorizzare delle regole o dei passaggi, non sempre riesce a metterli in pratica. Specialmente se cambia il contesto: l’alunno potrebbe ricordare le fasi per preparare lo zaino in classe, ma non riuscire nello stesso compito a casa. Una volta realizzato il compito, infatti, non riesce a generalizzare le conclusioni che raggiunge.
In secondo luogo, un alunno con disabilità intellettiva regredisce molto più facilmente e più spesso a modelli di pensiero infantile, anziché articolarsi verso forme di ragionamento sempre più complesse e articolate. Proprio per questa tipica modalità di pensiero, è molto difficoltoso l’apprendimento di nuove abitudini, ma, soprattutto, è faticosa la modifica di abitudini ormai apprese.
Un’altra caratteristica è la lentezza di acquisizione e di esecuzione. Questo rallentamento dipende dalla debole capacità di cogliere i nessi causali e di generalizzare. Solitamente è necessario ripetere i passaggi di un compito più volte e in differenti contesti. Può essere utile frammentare il compito in più fasi tramite una task analysis, passando alla fase successiva solo quando la precedente è stata acquisita e tornando periodicamente anche quelle già apprese.
La tendenza al concreto è un’altra caratteristica da tenere in considerazione. Questi alunni pensano in modo più concreto, vivono nel presente immediato e faticano ad astrarre o a fare previsioni per il futuro, prossimo o lontano. Questo comporta anche una carenza di strategie cognitive, che rende loro molto difficile studiare e apprendere in autonomia. Essi, infatti, non sono privi delle abilità necessarie per acquisire nuove informazioni, ma delle strategie per impadronirsene. È importante che il docente li accompagni nell’acquisizione di tali strategie. Anche solo di alcune, in base alle esigenze: ad esempio, usare il vocabolario online, la calcolatrice del cellulare, evidenziare un testo, fare o completare una mappa, gestire il tempo e altre ancora.
Gli alunni con disabilità cognitiva, infatti, apprendono soprattutto per imitazione: un processo dinamico fondamentale, messo in atto da ognuno di noi fin dai primi mesi di vita. L’insegnante può sfruttare questa tendenza, organizzando una programmazione mirata. Molto funzionale è la tecnica del modeling o del video-modeling: un docente o un compagno mostra le fasi di esecuzione di un compito e l’alunno, imitandole, se ne impadronisce.
Infine, è importante ricordare che questi alunni presentano una debolezza nell’area logica e un quoziente intellettivo al di sotto della norma, ma non significa che siano privi di intelligenza. Al contrario, come dimostrato da Gardner, le intelligenze sono almeno sette. Un alunno con disabilità cognitiva potrebbe avere un’intelligenza visiva, musicale o cinestetica molto spiccata. O ancora, potrebbe essere dotato di una notevole intelligenza emotiva. Compito del docente è riconoscere e valorizzare le forme di intelligenza che più gli appartengono, progettare delle occasioni per valorizzarle, soprattutto con il resto della classe, e sfruttarle quale canale privilegiato per gli apprendimenti.
L’errore più grande che possa fare un docente è quello di pensare che questi alunni, specie quelli con disabilità cognitiva di livello grave, siano soggetti passivi di fronte alla realtà. E che l’adulto debba sostituirsi a loro nell’esecuzione dei compiti quotidiani. Chiaramente non è così: anche gli alunni più gravi hanno diritto a una partecipazione attiva nella classe e, più genericamente, nella società. Perché questa partecipazione sia reale, docenti ed educatori devono attivare tutte le strategie per rendere l’alunno autonomo. Solo l’autonomia, almeno quella di base, potrà infatti garantirgli una piena inclusione.
Luana Vizzini