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Le “Baccanti di Euripide” di Kerkís. La follia va in scena, magistralmente

Un dio non perdona. Specialmente Dioniso, figlio di Zeus e Semele. Un dio dai trascorsi oscuri, segnato da un tragico passato. Al contrario, ritorna. A Tebe, patria della madre, dove si manifesta in forma umana per punire le donne, ree di aver dubitato della sua nascita divina. Come? Suscitandone la follia, l’ebbrezza. Stravolgendone le menti e privandole della lucidità. Insomma, proprio come Dioniso sa fare. Le donne cedono. Persino gli anziani (l’indovino Tiresia e Cadmo, il padre di Semele) tripudiano in onore del dio. L’unico che cerca di opporsi all’immoralità scatenata da Dioniso è Penteo, re di Tebe. Ma resistere alla potenza del dio, si sa, è impossibile…

Dioniso si palesa in forma umana. Seducente, attraente, irresistibile. Infine, anche l’irremovibile Penteo cede alle sue lusinghe. Rimane avvolto e stordito dal suo fascino. Il dio sa bene come penetrare nella mente e sconvolgerla. Dunque, Penteo, vinto da una straziante curiosità, in abiti muliebri segue Dioniso sul monte Citerone, per osservare le donne intente alla celebrazione dei misteri bacchici. 

Nella foto, in alto: l’irresistibile Dioniso e il Penteo di Kerkís

Agave, madre di Penteo, nonché sorella di Semele, guida la schiera delle Baccanti. Il delirio dionisiaco ne domina le menti. Un furore estatico brucia sotto la pelle e annebbia la ragione. Agave scorge Penteo e ne confonde le fattezze con quelle di un giovane leone. La furia divampa. Invano, le suppliche del figlio. Agave e le Baccanti, preda di un’inspiegabile brama, divorano il re di Tebe. Lo sbranano, lacerano, senza alcuna pietà. L’orrore è compiuto. 

Ora la follia abbandona la mente di Agave, per lasciare posto a una lucidità ritrovata. La donna riconosce, allora, nello scalpo di leone che brandisce come un trofeo, la testa del figlio. Null’altro che devastazione, adesso, incombe sul suo cuore. Mentre la voce di Dioniso potente tuona dall’alto, pago per la sua vendetta.

Questa la vicenda proposta da Euripide in una delle sue tragedie più celebri, “Le Baccanti”. Messa in scena per la prima volta intorno al 407 a.C., risulta ancora terribilmente attuale, perché tratta delle nostre pulsioni più oscure e profonde. A riproporla al pubblico di oggi, l’Associazione KERKÍS. TEATRO ANTICO IN SCENA, con la regia di Christian Poggioni, sotto la direzione drammaturgica di Elisabetta Matelli, Professore Ordinario di Filologia classica e tardoantica presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, e con il riallestimento di Eri Çakalli

Nella foto, in alto: una terribile scena delle Baccanti di Kerkís

L’Associazione KERKÍS (https://www.kerkis.net/) si è misurata con questo grande classico al Teatro Pime di Milano il 16, 17 e 18 maggio 2024. Riportando, ancora una volta, un meritato successo.

Un plauso singolare va al cast degli attori, giovani, ma impeccabili, poliedrici, capaci di trattenere il pubblico fino all’ultima battuta. Ricordiamo Giacomo Lisoni nei panni di Dioniso, e Matteo Fasolini nel ruolo di Penteo. Lisa Zanzottera e Roberto Bernasconi, che hanno interpretato, rispettivamente, Tiresia e Cadmo. Arianna Sangiuliano, che ha riproposto al pubblico il personaggio di Agave. Tancredi Greco, che ha assunto il doppio ruolo di Guardia e Primo messaggero, e Margherita Rigamondi come secondo messaggero. Da ultimo, ma non meno rilevante, il Coro delle Baccanti, interpretato da Benedetta Drago, Francesca Ferrari, Marialuce Giardini, Nour Hajjar, Giada Kogoj, Madalina Lupascu, Francesca Redaelli.

Nella foto, in alto: Le Baccanti e il Dioniso di Kerkís in scena

A tenere agganciato il pubblico moderno, coinvolto e stordito al tempo stesso, di fondamentale importanza la traduzione di Ezio Savino ed Elisabetta Matelli e le scene Dino Serra

Inevitabile la riflessione su se stessi, sulle proprie pulsioni interiori, sulle forze oscure più profonde che, talvolta, ci avvincono. Inutile opporvisi. Fanno parte di noi, non meno della razionalità apollinea. D’altra parte, c’è la follia che divora, ma anche la follia che libera. La follia che annebbia, ma anche la follia che porta ad una conoscenza superiore. I Greci sapevano affacciarsi sull’orlo dell’abisso e scrutarne le profondità. E noi? Ne siamo ancora capaci? Grazie ancora a Kerkís per averci posto di fronte a queste domande! 

Luana Vizzini

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