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Le Paralimpiadi: quando lo sport diventa inclusivo

Le Paralimpiadi sono un evento sportivo di straordinaria inclusività a livello mondiale. Come dice il prefisso “para”, sono state pensate come Giochi paralleli alle Olimpiadi, perché anche gli atleti con disabilità potessero gareggiare e confrontarsi in varie discipline. Per risalire alle origini della loro storia bisogna tornare indietro al XX secolo.

Nella foto, in alto: un atleta paralimpico all’edizione di Rio del 2016

Il primo atleta con disabilità a partecipare ai Giochi Olimpici fu George Eyser, ginnasta americano amputato a una gamba dopo un incidente ferroviario. Nonostante la sua disabilità, Eyser conquistò ben sei medaglie alle Olimpiadi del 1904, tra cui l’oro nel volteggio.

Fu, però, solo dopo la Seconda Guerra Mondiale che nacquero i Giochi Paralimpici. Un gran numero di veterani fece ritorno dalla guerra con lesioni al midollo spinale o amputazioni. Il dottor Ludwig Guttmann dell’ospedale di Buckinghamshire, a Stoke Mandeville, ebbe un’idea rivoluzionaria: aiutare questi soldati a riabilitarsi con lo sport competitivo. Fu così che nel 1948, lo stesso giorno di apertura delle Olimpiadi di Londra, a Stoke Mandeville si tennero dei Giochi a cui parteciparono sedici veterani e alcune donne ferite durante la guerra.

Da quel momento, i Giochi di Stoke Mandeville divennero un appuntamento annuale. Nel 1956, durante le Olimpiadi di Melbourne, il Comitato olimpico assegnò all’organizzazione dei Giochi di Stoke Mandeville la Coppa Fearnley, un riconoscimento internazionale. Fu un momento significativo, che sottopose all’attenzione mondiale il concetto di competizione sportiva in presenza di disabilità ed ebbe una risonanza notevole.

Tanto che l’anno dopo in Italia il dottor Antonio Maglio, primario del Centro paraplegici di Ostia “Villa Marina”, propose lo sport come terapia riabilitativa per i suoi pazienti neurolesi. Il suo centro divenne un punto di riferimento e nel 1974 fu costituita l’ANSPI (Associazione nazionale per lo sport dei paraplegici italiani).

Per i primi Giochi Paralimpici veri e propri bisogna attendere il 1960. I Giochi furono organizzati a Roma, in parallelo con le Olimpiadi: strutture e impiani sportivi venivano condivisi da atleti olimpici e paralimpici. Furono circa 400 gli sportivi con disabilità a partecipare, provenienti da 23 Paesi diversi. Da quel momento, si decise che i Giochi Paralimpici avrebbero avuto la stessa cadenza di quelli Olimpici.

La storia della Paralimpiadi non è segnata, però, solo da momenti brillanti. Nel 1968 Città del Messico rifiutò di ospitarle per difficoltà tecniche. Gli organizzatori non si lasciarono prendere dallo sconforto e trovarono un’altra città ospitante: Tel Aviv. Fu un vero successo, con la presenza di 10.000 spettatori.

Nella foto, in alto: giocatori di Goal-ball

Nel 1976 a Toronto fu introdotto il Goal-ball, una disciplina progettata per atleti con disabilità visive. La palla, due volte più pesante di un pallone da basket, è dotata di una campanella che permette ai giocatori a individuarne la posizione e di linee tattili che ne agevolano la prensione. Da quell’edizione, anche gli atleti non vedenti furono ammessi ai Giochi.

Le Olimpiadi di Seoul del 1988 segnarono un momento fondamentale: ospitarono Giochi Olimpici e Paralimpici insieme. Fu l’occasione in cui tutti gli atleti, con disabilità e non, furono applauditi davanti al mondo. Da allora, si firmò un accordo per cui la medesima città deve ospitare entrambe le competizioni. Venne anche realizzata la prima bandiera del Comitato Paralimpico Internazionale (IPC), importante passaggio per la promozione della propria identità. Furono 3.057 gli atleti con disabilità a partecipare, provenienti da 61 Paesi. Si contarono 18 discipline sportive, tra cui atletica, nuoto e basket in carrozzina.

Il 1922 fu l’anno in cui anche Olimpiadi e Paralimpiadi invernali vennero ospitate nello stesso luogo, a Tignes e Albertville, in Francia. In questa occasione, per la prima volta gli sciatori con disabilità vennero riconosciuti a livello mondiale, con due discipline: lo sci nordico e lo sci alpino. La prima edizione delle Paralimpiadi invernali, invece, risale al 1976 e si tenne in Svezia.

Il 1996 fu l’anno del Murderball, ovvero il rugby in carrozzina. Le regole sono simili a quelle dell’hockey. Si tratta di una disciplina di notevole impatto, grazie alla sua potenza e al fatto di essere un gioco di contatto. Per queste sue qualità ottenne una notevole popolarità ai Giochi di Atlanta, dove fu applaudito da numerosissimi spettatori.

Nella foto, in alto: atleti con disabilità visiva

L’inizio del XXI secolo, invece, non fu proprio favorevole per i Giochi Paralimpici. Nel 2000 a Sidney, infatti, esplose uno scandalo. Secondo alcune segnalazioni, la squadra spagnola di basket per disabili intellettivi comprendeva due giocatori senza alcuna disabilità. Di conseguenza, l’IPC prese una decisione alquanto controversa: eliminare tutti gli eventi per disabili intellettivi, anche nei Giochi successivi. Inoltre, quell’anno si registrò il maggior numero di test positivi anti-doping dal 1992.

Il 2004 fu l’anno di un altro evento spiacevole. Benchè per la prima volta le Paralimpiadi si tennero in Grecia, proprio nel luogo originario dei Giochi, nessuna emittente televisiva americana si  stabilì ad Atene per trasmettere le competizioni. Tanto che gli spettatori americani non poterono fare il tifo per i loro atleti favoriti e dovettero aspettare quasi due mesi prima di assitere ai Giochi.  

Tutto cambiò nel 2012 a Londra, con un evento che diede il lustro meritato agli atleti paralimpici: Meet The Superhumans. L’intera nazione fu invitata a incontrare e conoscere gli sportivi con disabilità: furono venduti 2,7 milioni di biglietti, per un totale di 500 ore di trasmissioni televisive. Da allora, la fama dei campioni paralimpici è continuata a crescere nel lungo percorso verso la piena inclusione.

Luana Vizzini

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