Nella foto, in alto: il maestro di K1 Style, Simone Magi
Seduto comodamente sul sofà, nel bar di un grande albergo milanese, incontriamo lo scrittore, Simone Magi. Maestro e campione di K1 Style. Uomo elegante ma sportivo al tempo stesso. Affabile. Simpatico. E, dopo aver sorseggiato un drink in sua compagnia, ci rivolgiamo a lui così:
D. Dopo aver partecipato a diversi premi letterari, con poesie e racconti, questo è il suo primo romanzo? Come è arrivato a quest’opera? R. Incoraggiato da apprezzabili risultati ho deciso di provare sulla lunga distanza, con un argomento che conosco bene: uno sport al quale ho dedicato gli anni migliori della giovinezza. Ho escogitato vicende che ne tutelano il valore, pregiudicato dall’ignoranza, esaltandone le virtù che vanno dagli effetti catartici come lo scaricamento delle tensioni, allo sviluppo di una certa concentrazione e dell’autocontrollo, alla conseguente autostima. D. Che rapporto c’è tra lo Stefano del romanzo e lei? R. In senso relazionale, non posso che voler bene ad un mio personaggio, anche se forse non avrei condiviso ogni suo comportamento. Come corrispondenza di episodi, le analogie sono ovviamente molte, quantunque lui abbia raggiunto migliori risultati ed è, in fin dei conti, un protagonista che ha potuto dimostrare la validità del suo credo. D. E’ difficile se non impossibile, trovare romanzi incentrati sulle arti marziali. Sono stati scritti molti saggi, abbiamo interesse, basti pensare al rapporto dello scrittore Carofiglio con l’Aikido, ma nessuno che metta al centro un atleta marziale, perché secondo lei? R. La nostra cultura non ha il retaggio socio-culturale-religioso dell’oriente. Qualcuno ha compreso quell’ideale mistico che permea le arti marziali, lo ha accolto con deferenza e mantenuto quella tradizione meramente manualistica, altri hanno viceversa sottovalutato e scartato tutto. Chissà, magari per qualche anziano maestro il mio lavoro, malgrado la limpida fede, stonerebbe se non irriverente quanto meno superfluo. D. Lo stesso discorso vale per la cinematografia, a parte le varie biografie di Bruce Lee, l’unico atleta di celluloide attualmente è un’animazione: Kung Fu Panda. Pensa che il suo romanzo si potrebbe tramutare in una sceneggiatura magari per qualche giovane regista? R. Fra improprie mescolanze hollywoodiane e spazzature orientali di produzioni semi-domestiche c’è poco. Un Ong-Bak rimane di modesto spessore, seppur meraviglioso nel senso estetico-sportivo (tailandese, non a caso) e necessariamente per pochi. Ogni romanzo è un film in potenza, compreso il mio che ha gli ingredienti di circostanza: disfatta e rivincita, sentimenti, morale. Un regista? Prima un Appassionato produttore! D. Dove ha presentato principalmente le sue opere? R. Solamente inviate a qualche concorso letterario. E’ la prima volta che pubblicizzo, tramite voi, perché il passaparola di un “prodotto specifico”, la fortuna ed i miei mezzi sarebbero insufficienti. Presentazioni pubbliche non le ho prese in considerazione per ora. D. Lei abita in provincia, è un vantaggio o no? R. In provincia abitano provinciali. Come nel romanzo, le possibilità si riducono.