Sembra strano, ma nessuno sa più per qual motivo il bucato si chiami così. E allora ve lo spiego io in poche parole!
La lavatrice, ovviamente, non c’era. I panni si lavavano al fiume. Per lavare i panni al fiume, bisogna prima di tutto portarceli in una cesta, e se possibile avere una seconda cesta, per dividere i panni ancora sporchi da quelli già puliti.
Arrivati al fiume, si cerca un greto sassoso. Se ci fosse terra, argilla o melma, hai voglia a lavare: verrebbe fuori tutto color fango. Quando trovi il greto sassoso, sappi che ti devi inginocchiare nell’acqua bassa, per poter fare qualcosa in concreto. I sassi sotto le ginocchia fanno un male boia.
Allora scavi una BUCA, ci metti dentro uno dei panni e ti inginocchi su quello, che almeno fa meno male. Poi ne scavi altre due perché le ceste siano a portata di mano mentre lavi, in modo che a causa della corrente del fiume, non se ne vadano a spasso per fatti loro e navighino fino alla Hawaii. DUE BUCHE più una di prima e fanno TRE BUCHE.
Ora scavi la QUARTA BUCA, sempre perché la corrente si trascinerebbe via tutto, e inizi ad insaponare un panno alla volta. Sbatti violentemente i panni sui sassi man mano che lavi e insaponi in modo che lo sporco si distacchi dai tessuti. Mentre sbatti, l’acqua nella buca si cambia, e puoi risciacquare. Ripeti il tutto più e più volte finché ogni panno sia ben pulito.
Tutto a forza di BUCHE. Mi sembra ovvio che il risultato si debba chiamare BUCATO.
Come lo so? Ormai ho una bella età, e ho avuto modo di vedere queste cose con i miei occhi, di sperimentarle di persona, roba che i Millennials non sanno nemmeno di cosa si stia parlando, che queste cose si facessero per davvero, che nelle case, la lavatrice non esistesse fino agli anni del boom economico degli anni ’60 (era una cosa degli americani! Un macchinario per lavare, ma pensa! Loro SI’ che sono avanti). Ho visto le donne lavare al fiume, al paese di mia zia e l’ho fatto anch’io ai tempi in cui facevo campeggio libero (più che “libero”, direi “selvaggio”). Ogni giorno si cambiava luogo, ben lontano dalla civiltà, e ogni settimana si faceva il BUCATO in riva a qualche fiume. Bei tempi! Oggi in vacanza si va in hotel, i panni sporchi li porti in lavanderia e il contatto con la natura è andato completamente perso.
Nessuno si ricorda più che una cinquantina di anni addietro i navigli di Milano (come tutti i fiumi, canali e corsi d’acqua) fossero così puliti che la cosa più naturale del mondo era che le donne andassero lì a lavare i panni. Il sapone si faceva in casa facendo bollire le ossa con la cenere o si vendeva a pezzi formato mattonella, incartato nella carta di giornale. Ricordo come fosse ieri quando uscì il sapone Sole e la pubblicità diceva “Sole, il sapone sigillato“, perché che te lo dessero già impacchettato era una cosa futuristica, mai vista prima! E che ci fosse una malattia chiamata proprio “ginocchio della lavandaia” perché le ginocchia, a lavare in quel modo, te le spaccavi presto.
Bene, buon Natale e buon 2021 a tutti dalla vostra
Erika Corvo